La missione di ricostruire
venerdì 17 marzo 2017

Le elezioni olandesi forniscono un’indicazione importante. Il populismo annunciato come dilagante si ferma al 13% eppure, nonostante l’insensatezza morale, economica e sociale delle sue argomentazioni l’impegno culturale a sconfiggere questa malattia della società e della politica non deve rallentare. Il progresso tecnologico, scientifico, medico è lineare e irreversibile, quello umano purtroppo non lo è per nulla. Le civiltà, i sistemi politico-sociali possono avanzare verso il bene comune, ma possono anche fare grossi passi indietro. Il virus del nazionalismo è apparso più volte nella storia dell’uomo. Nel secolo scorso per guarire dalla malattia ci sono volute due guerre mondiali e infiniti lutti. Alla fine della seconda guerra mondiale la memoria degli orrori del nazismo e la cultura dell’antifascismo e della resistenza sono servite per diversi decenni come antidoti efficaci contro il morbo. Col tempo però la memoria si sbiadisce, nuove generazioni nascono e crescono, ma non hanno più consapevolezza di quegli eventi e l’umanità si ritrova drammaticamente di fronte al problema del nazional-populismo, vittima di una vera e propria bolla speculativa culturale. La domanda che oggi in molti si pongono è pertanto se riusciremo a guarire dalla malattia senza bisogno di nuove catastrofi.

La storia delle "epidemie" passate della "malattia" e quella di oggi ci insegnano che il fattore economico spiega solo una parte del fenomeno.

Il nazionalismo nasce da un mix di fattori economici e identitari ed è una malattia dello spirito dell’uomo che ha smarrito la consapevolezza che è la ricchezza delle differenze, la solidarietà e la cooperazione a produrre benessere spirituale, sociale ed economico. Quanto ai fattori che possono contribuire a scatenarla è ampiamente dimostrato che la recessione tende a far credere (sbagliando) che l’economia sia una torta a dimensione fissa (anzi decrescente) e questo aumenta l’ostilità verso gli stranieri che ne 'tagliano' un pezzo. Allo stesso tempo, in periodi di rivoluzione industriale e in fasi storiche in cui la ricchezza si concentra, e si assiste a distruzione e creazione di molti posti di lavoro, l’insicurezza e i timori verso un futuro incerto spingono verso il rifugio identitario. Ovvero verso la soddisfazione e il piacere di essere conformi a un modello difensivo di identità (la propria etnia promossa a razza , la propria nazione) che affonda spesso le radici in un passato dove tutto sembrava meno incerto e difficile.

Vincere la malattia del nazional- populismo solo facendo riferimento ad argomentazioni razionali e confutando le sue assolute insensatezze (soprattutto in materia di presunti benefici sul fronte economico) è doveroso ed è stato fatto più volte anche su queste colonne a proposito di migranti ed euro, ma non basta. L’uomo, prima di essere razionale e massimizzatore di utilità, è cercatore di senso e, di fronte a novità e periodi di transizione difficili e incerti, trova parziale soddisfazione alla sua ricerca attraverso l’identificazione di scorciatoie e di capri espiatori. In questo particolare periodo storico le due scorciatoie sono l’euro e lo straniero. Invece di accettare il fatto che i problemi attuali dipendono da molte concause e possono essere superati attraverso un faticoso percorso che le affronti assieme, molte persone preferiscono pensare che esista una via più semplice, un ostacolo che, se superato, ci porterà alla soluzione. Ritenendo, per semplificare al massimo che costruendo muri che blocchino l’afflusso degli immigrati ed uscendo dall’euro il problema è risolto.

Possiamo e dobbiamo, certo, continuare ad argomentare per mettere in evidenza la fallacia degli argomenti nazional-populisti, ma dobbiamo anche sforzarci di mettere in campo politiche che riducano i problemi e mitighino le paure di tanta parte della popolazione. Dal punto di vista economico e sociale l’Europa deve comunicare e fornire evidenza di un’anima sociale molto più spiccata. Ma la malattia ha radici morali e filosofiche profonde, e dunque la missione culturale ri-costruttiva che aiuti l’opinione pubblica a capire che in economia e società la legge della superadditività (uno più uno fa tre) è infinitamente superiore alla regressione autistica dell’uno meno uno fa zero (e all’approccio mors tua vita mea) è ancora più importante perché va alla radice del problema. Non stanchiamoci mai, insomma, di comunicare e di far presente agli uomini del nostro tempo la ricchezza delle nostre ragioni e la profondità delle nostre radici storiche e spirituali.

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