mercoledì 26 febbraio 2014
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«Mi presento alla soglia delle vostre case...». L’incipit della Lettera alle famiglie del Papa porta in sé questa forma gentile. Come di un amico che si affacci alla porta, e aspetti per entrare che gli si dica "avanti!". Il tono di chi non si vuole imporre, ma domanda di essere accolto e ascoltato. Oggetto della Lettera, l’Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi che a ottobre discuterà su "Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto delle evangelizzazione". Così la Chiesa si prepara a affrontare le nuove domande che la famiglia pone e si pone, sotto la spinta di una "modernità" che, contestato da tempo il matrimonio, legalizzato l’aborto, avanza ancora. Quasi in una tensione a negare il dato originario su cui si fonda da millenni il vivere degli uomini: quel nascere maschio e femmina che oggi un aggressivo neopensiero vorrebbe negare, argomentando che niente ci è dato dal principio, ma tutto è cultura, ambiente, scelta - e quindi anche famiglia e figli sono variabili fluttuanti in questo orizzonte dai punti cardinali sradicati. Le sfide sono innumerevoli, e si affacciano alle cronache ogni giorno, dai matrimoni fra omosessuali a una procreazione artificiale che ammette che le madri possano essere due, e il padre neanche uno, o viceversa. Come dunque, con che parole annunciare Cristo, in questo tempo quasi geneticamente mutato?Ma la cosa che più colpisce della Lettera è la prima e per ora sola richiesta che Francesco fa alle famiglie, in vista del Sinodo. Altre domande l’hanno preceduta, ma ora giganteggia, umile, solo questa: la richiesta di pregare. Di «pregare intensamente lo Spirito Santo, affinché illumini i Padri sinodali».Pregare? A fronte del "nuovo mondo" che si affaccia, noi cristiani oscilliamo spesso tra una tacita rassegnazione o invece un atteggiamento pugnace, un pure legittimo desiderio di gridare il proprio "no" a una cultura del gender che si configura ormai come una nuova ideologia. Al Papa da qualcuno è stato domandato e persino ingiunto, con toni poco o nulla cristiani, di «combattere» su questo fronte. Ed ecco che Francesco scrive una lettera alle famiglie, in cui domanda prima di tutto di pregare «perché la Chiesa compia un cammino di discernimento».Alcuni non capiranno, soprattutto se non sanno che cosa sia la preghiera. Altri, forse, si sentiranno soli nel loro slancio a lottare. Perché pregare, nel mondo in cui viviamo, equivale anche per molti credenti a una "non" azione, a un rifugiarsi in una cella interiore evitando la trincea della vita "vera". Quale lezione invece dà il Papa, mostrando che il principio fondante dell’operare cristiano sta, prima che in un fare, in un domandare; in un lasciarsi colmare, formare, forgiare da un Altro, e quindi in un agire. «Discernimento», questa è la antica parola cristiana che Francesco usa. Discernere, come il farsi strada di un viandante tra i sentieri di una foresta fitta; seguendo non sé stessi e la propria sapienza, ma l’indicazione che viene da quell’Altro, invocato. Un’indicazione che illumina il cammino e la verità che abbiamo nel cuore.C’è un passo infine, nella Lettera alle famiglie, che ricorda come è solo Cristo che fa incontrare e unisce le generazioni, «fonte inesauribile di quell’amore che vince ogni chiusura, ogni solitudine, ogni tristezza». Solitudini che si allargano voraci dietro le porte di tante nostre case; case in cui pare non manchi niente, eppure, tuttavia, si è tristi. Quelle porte cui Francesco bussa. Basterebbe, a tante solitudini, una battaglia per il rispetto dell’ordine creaturale delle cose? No. Solo quell’Altro, dice Francesco, basta, e colma; quell’Altro a cui occorre, a mani vuote, domandare.
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