La cittadinanza in forza e in nome dello Ius culturae: sarebbe giusto
sabato 20 giugno 2020

Caro direttore,

in queste settimane gli italiani, nonostante l’andamento lento di una regolarizzazione a ostacoli dei lavoratori appunto irregolari, si rendono conto anche dell’importanza del lavoro di tanti stranieri nel settore agroalimentare. Bisogna garantire loro civilmente alloggi con servizi, giusta retribuzione e turni di lavoro umani, sacrosante tutele sindacali, contributi, ecc. Insomma, il rispetto della legalità che in questi anni è stata aggirata. E dobbiamo prenderne atto tutti, cittadini e politici, e decidere di risolvere questa tragica situazione, vergognosamente e colpevolmente tenuta per troppo tempo nell’ombra, anche dai mass media ('Avvenire' e pochi altri a parte). E poi, direttore, ci sarebbe anche la questione dei tanti giovani nati in Italia o arrivati con i genitori stranieri, che studiano con i nostri figli e nipoti e che attendono la cittadinanza. 'Avvenire' aveva speso tante pagine chiedendo di porre rimedio a questa ingiustizia. Con il governo Renzi-Alfano si era a un passo dalla soluzione, ma... per un piatto di lenticchie qualcuno si è tirato indietro al momento del voto in aula. Pur ritenendo giusta la soluzione, la scusa della mancata votazione fu: «Non è il momento». Chiedo a quegli onorevoli, se siedono ancora in Parlamento, e ai nuovi eletti di non nascondersi dietro alla mascherina del coronavirus: è necessario metterci la faccia. Se il loro impegno per il bene dell’Italia e degli italiani di nascita o di adozione è sincero, questo «è il momento» di trovare tutti assieme le soluzioni. Sarebbe una cosa dignitosa per tutti.

Francesco Ferrari, Merate (Lc)


Sono pienamente d’accordo con lei, caro signor Ferrari. Sia in tema di regolarizzazione del lavoro irregolare di straniere e italiani, sia in tema di giuste regole per la cittadinanza. E, lei come ogni lettore di questo giornale, lo sa. Continuo anche a pensare, dopo il deliberato fallimento del processo legislativo nella scorsa legislatura, che di ius culturae – cioè di cittadinanza riconosciuta a chi è nato o è arrivato da giovane in Italia, vi risiede stabilmente e ha completato un ciclo di studi nel nostro Paese – è giusto parlare solo se davvero si ha intenzione di cambiare in meglio la vecchissima legge del 1992. Altrimenti, meglio tacere. Non si può continuare a trattare e offendere un’intera generazione di nuovi italiani, amici e compagni di studio e di gioco dei nostri figli e nipoti, come interlocutori 'trasparenti'! Non si può dire loro: riconosciamo la vostra italianità e, contemporaneamente, 'non siete veri italiani'. Non si può promettere la fine di un assurdo status da semi- cittadini, e poi lasciare che il limbo continui. Detto questo, spero che in Parlamento si sappia finalmente essere saggi e giusti.

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