giovedì 31 gennaio 2019
Un lettore si fa una domanda giusta secondo una logica che in questo terribile caso non funziona. L’obiettivo dei banditi è fare soldi con esseri umani senza difesa, in ogni modo e a qualunque costo
La ferocia dei lager libici. Schiavismo, torture e smartphone
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Caro direttore,
'Avvenire' di sabato 26 gennaio 2018, pagina 4 «Libia nuove cronache dall’orrore». Parte finale dell’articolo di Paolo Lambruschi: «Gojtom, eritreo di 27 anni e nome di fantasia, è uno dei 150 prigionieri dei trafficanti a Bani Walid. Ha uno smartphone e parla inglese» . Scusate la mia 'pignoleria' ma come è possibile che carcerieri, aguzzini, torturatori, criminali efferati consentano ad un prigioniero di comunicare all’esterno con uno smartphone? Attenzione: la mia e soltanto una domanda dettata dalla logica. Condivido (non potrei farne a meno, ovviamente) completamente il senso, il messaggio, la sostanza, la denuncia dell’articolo. Mi sembra soltanto – lo ripeto – un po’ strano. Cordiali saluti.

Franco Ravasi

La sua domanda, caro signor Ravasi è corretta. E io, su invito del direttore, le rispondo volentieri. Sin dai tempi in cui seguivamo i sequestri nel Sinai 10 anni fa ci siamo trovati di fronte a casi del genere e ci siamo posti l’interrogativo. Da quel che abbiamo capito, e io personalmente ho verificato, ai banditi e torturatori importa poco dello smartphone perché in questi casi è uno strumento funzionale all’obiettivo di riscuotere i riscatti. Con il cellulare infatti il detenuto tiene i contatti con il mondo esterno e sollecita il pagamento. In alcune situazioni e in certe 'strutture' è capitato che i rapitori abbiano sequestrato anche i cellulari, ma in quasi ogni gruppo qualcuno riesce sempre a nasconderli e a tenere contatti. Ai banditi interessa solo far soldi, in qualunque modo, a qualunque costo altrui. E comunque non corrono rischi: nessuno conosce la loro identità e anche in caso di denunce da parte di attivisti o di parenti – come l’ultimo dramma che abbiamo raccontato – chi proverebbe davvero a liberare quei profughi che tutti fanno a gara per abbandonare al loro destino nel Paese più caotico del Nordafrica? L’unica regola ovviamente è non filmare i sequestratori-schiavisti- torturatori, pena la vita. Nessuno finora l’ha violata, anche nelle situazioni in cui la presenza di cellulari è del tutto nascosta. Infine, nel caso di Gojtom, lui stesso ha affermato che la sua disponibilità al lavoro gratuito, da schiavo, gli ha fruttato un trattamento migliore. Uno dei suoi pochi vantaggi è poter comunicare senza troppi controlli. Queste sono le storie – fuori da ogni vecchia logica, ma dentro un’altra logica, sconvolgente e altrettanto feroce – con le quali da cronisti di questo tempo ci misuriamo e che fedelmente, con fatica, dobbiamo scrivere.

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