L'anno prossimo a Roma, infine
venerdì 3 giugno 2022

Speriamo sia per l’anno prossimo, perché a questa Festa della Repubblica, purtroppo, ancora molti, troppi italiani non sono stati invitati. Sono quelle centinaia di migliaia di ragazzi e adolescenti italiani perché qui sono cresciuti, hanno studiato e si ritrovano nella stessa cultura dei loro compagni, ma che non vengono riconosciuti come cittadini perché nati – all’estero o persino in Italia – da genitori stranieri. E che solo per questo non possono godere di tutti i diritti assicurati dalla nostra Repubblica ai loro amici, figli di genitori italiani.

Mancano, questi invitati alla Festa della nostra Repubblica, perché acquisire la cittadinanza italiana è ancora un percorso difficile, un diritto di fatto negato a molti. Per i minorenni stranieri è previsto solo per 'discendenza' da genitori divenuti italiani dopo almeno 10 anni di regolare e ininterrotta residenza (con reddito attuale e costante) nel nostro Paese. Mentre, per i maggiorenni, è possibile per 'elezione', sempre dopo una regolare e continuativa residenza in Italia, presentando richiesta entro e non oltre un anno dal conseguimento della maggiore età. Questa è la terza legislatura in cui si cerca di riformare criteri così stringenti ed escludenti, ma i precedenti tentativi di introdurre uno ius soli temperato (per i nati in Italia) o uno ius culturae, basato sulla frequentazione di diversi cicli di studio, sono sempre naufragati per l’opposizione di una parte consistente delle forze politiche.

Mentre le parziali riforme operate negli anni più recenti non hanno fatto altro che prendere atto delle difficoltà burocratiche – allungando prima e poi restringendo parzialmente il tempo che lo Stato 'si concede' per dare risposta alle domande – lasciando inalterati termini e criteri che molto spesso impediscono l’acquisizione della cittadinanza anche al compimento della maggiore età. Lasciando così sempre più persone nel limbo di una 'cittadinanza dimezzata'.

Se, infatti, i diritti di base come l’istruzione o le cure sanitarie sono sempre assicurati anche ai figli dei residenti extracomunitari (e ci mancherebbe che non lo fossero!), ai ragazzi e poi ai giovani che non riescono a ottenere la cittadinanza italiana sono ancora negate alcune possibilità come per esempio partecipare a concorsi pubblici, lavorare per lo Stato, far parte di forze militari e dell’ordine, prendere parte a programmi di studio quali l’Erasmus, potersi muovere liberamente dall’Italia in tutti gli altri Paesi, votare alle elezioni amministrative e politiche.

Insomma, è negato essere un cittadino italiano a pieno titolo, con gli stessi doveri e i medesimi diritti. Tra due settimane sarà all’esame dell’aula della Camera una nuova proposta di legge, sostenuta da M5s, Pd, Italia Viva, Leu. E, fatto significativo, appoggiata anche da Forza Italia, mentre Lega e Fratelli d’Italia vi si oppongono. È stata battezzata legge sullo ius scholae perché prevede, in sintesi, che i minori di 12 anni possano chiedere e ottenere la cittadinanza italiana dopo aver frequentato e concluso un percorso di studio di 5 anni. La norma andrà discussa e potrà subire diverse modifiche ma, se approvata, tutti i ragazzi, nati qui o arrivati da piccoli, potrebbero vedersi finalmente riconosciuta la cittadinanza già a 10-11 anni, una volta finita la scuola primaria. Una volta acquisita, cioè, non solo la piena conoscenza della lingua, ma soprattutto assorbiti e condivisi la cultura e l’educazione civica che la nostra scuola trasmette. Così da riconoscere uguali diritti e doveri a persone che uguali sono per natura e che condividono luoghi di residenza, di studio, di gioco, di lavoro, di vita con gli altri italiani.

Ognuno con la propria storia, con credi, usi e costumi anche diversi, ma accomunati dagli stessi valori fondamentali. Quelli scolpiti nella Costituzione repubblicana che appunto si festeggia il 2 Giugno. L’auspicio, allora, è che l’anno prossimo ad aprire la sfilata ai Fori imperiali siano tanti bambini – italiani di fatto e per il 2023 anche di cittadinanza – con i maestri e i professori che a ciò li hanno educati. Perché italiani non si nasce, ma si diventa sempre – si sia nati qui o altrove – quanto più si è capaci di conformare la propria vita a quelle virtù che ci fanno popolo.

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