mercoledì 20 settembre 2017
Le malattie croniche dovute alle condizioni sociali più diffuse tra gli immigrati sono l’ipertensione o il diabete mellito, tra gli italiani indigenti i problemi psichiatrici
Italiani o stranieri, la povertà fa ammalare senza differenze
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Come ci ha ricordato Papa Francesco, ci ritroviamo nel bel mezzo di un vero e proprio «cambiamento d’epoca». Il mondo che conosciamo, con le sue caratteristiche di fondo, i suoi rischi sociali più o meno prevedibili, sta lasciando spazio a un nuovo mondo, nel quale vecchie e nuove emergenze sociali inesorabilmente si mescolano in forme spesso impreviste. Dentro questa grande transizione epocale, la società italiana è chiamata a confrontarsi con i nuovi volti della povertà. Ci eravamo abituati a dimensioni tutto sommato contenute, quasi rassicuranti. Soltanto dieci anni fa, prima della Grande Crisi, le famiglie povere in senso assoluto erano meno del 4%. Oggi questo dato è salito al 6,3%, corrispondente a 1,6 milioni di famiglie e a 4,7 milioni di individui. Che cosa sappiamo di queste persone? Molto poco. Certamente hanno bisogno di cibo, di vestiario, di casa, di lavoro. Non pensiamo invece che abbiano bisogno di medicine e di cure sanitarie: abbiamo un grande Sistema Sanitario Nazionale, che pur con tutti i limiti, dovrebbe garantire a tutti, in modo universalistico, le cure di cui hanno bisogno. Ma è proprio vero?

Da qualche tempo, anche grazie ai lavori pionieristici dell’Osservatorio Donazione Farmacia della Fondazione Banco Farmaceutico, si è cominciato a parlare di 'povertà sanitaria'. Ovvero, di quella componente di poveri che non sono in grado di curarsi adeguatamente. Difficile dire quali siano le dimensioni esatte di questa specifica forma di povertà. Sappiamo che le opere di carità servite dal Banco Farmaceutico aiutano un po’ meno di 600.000 persone. Ma sappiamo anche che, a causa di perduranti difficoltà economiche, in Italia una percentuale sempre più elevata di persone rinuncia a curarsi non potendosi permettere una compartecipazione alle spese mediche mediante il pagamento dei tickets o l’acquisto diretto di farmaci e presidi non rimborsabili. Nel dettaglio, secondo un’indagine Doxa Pharma – commissionata sempre da Banco Farmaceutico – sarebbero quasi uno su due gli italiani che lo scorso anno non sono riusciti a comprare per cause economiche tutti i farmaci di cui avrebbero avuto bisogno. Mentre secondo l’Istat nel corso del 2015 sarebbero ben 13 milioni le persone che hanno cercato di limitare la spesa sanitaria e farmaceutica.

Accesso alle cure sempre più difficile, dunque. In un contesto in cui anche il panorama epidemiologico sta rapidamente mutando. Fino al secolo scorso le malattie croniche sembravano colpire soprattutto i Paesi più sviluppati, mentre in quelli a basso e medio reddito prevalevano le malattie infettive. Oggi, invece, è noto che le patologie croniche affliggono in misura crescente anche i Paesi emergenti dove, oltretutto, rappresentano una causa di povertà per milioni di persone. E con le grandi ondate migratorie che stanno investendo il nostro Paese, le malattie legate alla povertà sono cambiate: non a caso, accanto a un numero crescente di italiani, gli assistiti delle opere di carità sono in gran parte migranti irregolari. Nella comunità scientifica internazionale si è cominciato a parlare di 'malattie socialmente trasmesse', poiché spesso derivano da comportamenti sociali malsani, diffusi anche attraverso i media ed i social networks, generati dal degrado ambientale e, soprattutto, da un basso livello culturale e, per l’appunto, dalla povertà. Proprio di questo si parlerà il 21 settembre all’Università Statale di Milano nel primo convegno scientifico specificamente dedicato alla povertà sanitaria in Italia e allo stato di salute della popolazione non assistita dal Servizio Sanitario Pubblico: 'Povertà sanitaria e accesso ai farmaci in una società multietnica'.

Che cosa comporta dunque questa dinamica di malattia trasmessa dalle condizioni sociali? La conseguenza più evidente è una aumentata incidenza di malattie croniche e disabilità permanenti. Patologie cui in questo momento stanno rispondendo quasi esclusivamente gli ambulatori della carità organizzata, quella sorta di 'Servizio Sanitario Solidale', necessario a quello istituzionale, che permette di registrare le uniche informazioni attendibili sul bisogno di salute della fascia più vulnerabile della popolazione. Uno studio su oltre 13.000 pazienti che tra il 2013 ed il 2016 sono stati assistiti presso due Enti Caritativi di eccellenza di Milano (Fratelli di San Francesco Onlus e Opera San Francesco per i Poveri) permette di accendere i riflettori su questa realtà sostanzialmente ignota. Nei quattro anni considerati questi enti nel loro insieme hanno dispensato quotidianamente ben 771 giornate di terapia ogni 1.000 pazienti per la cura di malattie croniche, mentre nello stesso periodo sono state erogate 'solo' 256 giornate di terapia ogni 1.000 pazienti per la cura di affezioni acute. Soffrivano di malattie croniche soprattutto gli europei dell’est (30,1%), seguiti dagli asiatici (25,4%), dai latinoamericani (18,2%), dagli africani sub-sahariani (13,4%) e dai maghrebini (13,3%). Le malattie croniche di più frequente riscontro erano quelle di tipo cardiovascolare come l’ipertensione (soprattutto tra gli asiatici, gli europei dell’est e gli africani) e quelle endocrino-metaboliche come il diabete mellito (che affligge soprattutto le donne di tutte le etnie).

Ma, tra i pazienti che afferiscono agli enti caritativi, la vera emergenza sembra essere quella delle malattie psichiatriche: disturbi di ansia, di personalità e del tono dell’umore. E sono malattie di cui soffrono soprattutto gli indigenti italiani: i maggiori fruitori di farmaci psicoattivi sono infatti i nostri connazionali (quasi uno su due), seguiti a grande distanza dagli europei dell’est (quasi uno su sette) e dagli africani del nord (uno su dieci). Insomma, con tutte le cautele del caso (i dati sui migranti possono essere sottostimati a causa di barriere linguistiche e culturali) si può avanzare l’ipotesi che sia soprattutto la povertà, e non altro, la causa del propagarsi di queste patologie. Malati perché poveri, dunque, non viceversa. Di fronte a questi dati, è urgente mettere in atto misure di contrasto della povertà e dell’emarginazione sociale come mezzo per prevenire il diffondersi di queste malattie, riducendone l’impatto sociale ed economico. La strada maestra è quella di riconoscere agli enti caritativi piena dignità e ruolo pubblico, pensandoli come una componente essenziale del Servizio Sanitario Nazionale.

LE CIFRE

1,6 milioni Le famiglie in povertà assoluta
600.000 Persone aiutate dal banco farmaceutico
13 milioni Chi ha dovuto limitare la spesa farmaceutica

* farmacologo clinico, Università Statale di Milano

** sociologo, Università Cattolica del Sacro Cuore

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