Impariamo a dire fratelli
domenica 21 maggio 2017

Per molti anni il pensiero etico-sociale dei cattolici ha trovato nel termine "persona" e nell’orizzonte del "personalismo" il suo baricentro. Anche se per chi le usava era evidente che parole come "persona" e "personalismo" avessero una ricca gamma di significati, non tutti perfettamente sovrapponibili, questi termini apparivano comunque ideali per sottolineare l’antimaterialismo della prospettiva cristiana (dato che comunque la si pensi la "persona" non è un "pezzo" di materia) e la sua irriducibilità a logiche collettivistiche, in grado di soffocare l’originalità e la libertà che la tradizione cristiana ha sempre predicato a carico dei "singoli", prima che a carico dei "popoli" o di qualunque altro soggetto "collettivo".

Col riferimento alla "persona" la dimensione dello "spirito" (o, più semplicemente, quella dell’"anima") veniva in tal modo riaffermata e ribadita, ma implicitamente, senza bisogno di rigidi postulati teologici, poco consoni agli orientamenti più diffusi della modernità. Sostenere che tutti gli uomini sono "persone" e attribuire di conseguenza i diritti umani fondamentali a tutti gli esseri umani, ha consentito al pensiero cattolico di sottolineare la propria ripugnanza verso ogni forza di razzismo e di discriminazione, di ribadire il proprio universalismo teoretico e di entrare in facile sintonia con qualunque altra visione del mondo dotata, anche se solo in piccola parte, di apertura all’universale.

Poi sono cominciate le difficoltà. Prima lentamente, ma poi subendo dinamiche di progressiva accelerazione, i cattolici si sono resi conto che le loro amatissime categorie personalistiche potevano, senza troppe difficoltà, essere utilizzate in modo inaspettatamente anticristiano. La cultura secolare ha cominciato a intendere la "persona" non come il "luogo" originale e originario dei valori, ma come il risultato di una libera conquista del sé, aperto agli esiti più diversi e stravaganti. La categoria della persona, da dato ontologico, si è rapidamente trasformata in un dato storico-culturale, affidato all’elaborazione arbitraria di ogni singolo soggetto: esempio chiarissimo quello di alcune teorie del "gender", che vedono sì nell’identità sessuale un’identità personale, ma un’identità non "data", bensì liberamente "costruita".

Di qui l’affermazione inquietante, ma oggi diffusa, secondo la quale non sarebbero "persone" tutti gli esseri umani, ma solo quelli dotati di piena coscienza e di adeguato raziocinio. La bioetica cattolica, nata come bioetica "personalista", è stata ben presto costretta a riformulare se stessa e a ridefinirsi come un «personalismo ontologicamente fondato», per evitare di essere confusa con le nuove teorie del personalismo soggettivistico. Il risultato, oggi, è che "persona" e "personalismo" sono divenuti termini ingombranti, che, anziché denotare con precisione un univoco orizzonte di pensiero, lo complicano, favorendo ambiguità ed equivoci.

Ne segue che i diritti umani, intesi per decenni come diritti della 'persona' in chiave univoca e non problematica, oggi si trovano al centro di battaglie ideologiche inquietanti, caratterizzate da asprezze inusitate (come quelle che rivendicano il suicidio come un diritto umano fondamentale, quelle che postulano la necessaria assimilazione dei diritti umani ai diritti degli animali e ai diritti dei cyborg o quelle, infine, che stanno dilaniando il 'pensiero femminile', lacerato tra coloro che ritengono la surrogazione di maternità un diritto delle donne e coloro invece che la condannano 'senza se e senza ma'). Si tratta di battaglie faticose e logoranti, destinate a restare aperte, fino a quando verranno combattute utilizzando categorie linguistiche e concettuali ormai inadeguate.

Di qui, per i cattolici, l’urgenza di elaborare la consapevolezza che quello del personalismo è un paradigma al tramonto, nato nell’epoca moderna e come tanti altri paradigmi moderni ormai consunto. È ormai urgente abbandonarlo, come aveva profeticamente ed energicamente esortato a fare Sergio Cotta, già diversi decenni fa, restando però malinconicamente inascoltat. È ormai urgente un nuovo impegno teoretico da parte di tutti coloro che trovano nel messaggio evangelico una fonte di sapienza umana, oltre che di sovrumana speranza.

Dobbiamo cessare di parlare delle 'persone' e tornare a parlare semplicemente di esseri umani, di uomini e donne, di fratelli e sorelle che sono tali non perché si attribuiscono la qualità di 'persone', ma perché riconoscono la loro comune identità di figli e figlie di Dio. Un discorso incredibilmente semplice, centrato su fraternità e sororità. Semplice eppure destinato a suonare, al mondo d’oggi, scandaloso. Ma oportet ut scandala eveniant, diceva san Paolo; bisogna pure scandalizzare il mondo. È il compito dei cristiani.

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