martedì 13 marzo 2018
Vero o no, il Kinzhal è una risposta allo scudo della Nato. Gli americani stanno sondando vari sistemi a lungo raggio
Il missile supersonico russo Kinzhal (Ansa)

Il missile supersonico russo Kinzhal (Ansa)

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Torna la guerra fredda ad agitare le acque degli equilibri strategici mondiali. Russia e Stati Uniti si rincorrono nuovamente in una gara per gli armamenti nucleari più distruttivi. La situazione sta piano piano sfuggendo di mano, fra accuse reciproche, sanzioni e propaganda ostile. Le dottrine militari si fanno più aggressive. Anche quelle per l’impiego dell’arma finale. Disegnano scenari in cui le testate tattiche fanno parte della manovra complessiva di teatro. Ne legittimano l’impiego. Mutamenti che coinvolgono indirettamente anche la politica nucleare della Nato, in rafforzamento dal vertice di Varsavia del 2016. Segno del malinteso totale fra russi e occidentali. Dove sono finite le politiche di Arms Control e di disarmo atomico? Che fine ha fatto il premio Nobel per la Pace del 2017, assegnato con grandi speranze alla campagna dell’Ican per l’interdizione totale delle armi nucleari? Sembra di essere punto e a capo, in un gioco al massacro che coinvolge anche i 'piccoli' dell’atomo, come Cina, India, Pakistan, Francia, Regno Unito, Israele e, fino a crisi archiviata, Corea del Nord. Che cosa dobbiamo aspettarci di peggio dai 'grandi'? I russi dovrebbero aver imparato che il crollo dell’Unione Sovietica è stato determinato anche dalle mega-spese insostenibili per gli armamenti. Hanno le mani in parte legate. Vengono da un biennio di crisi, in cui hanno dimostrato una resistenza impressionante. Ma non hanno molte risorse.

A parità di potere d’acquisto, il loro Paese sarebbe oggi la quinta economia mondiale, molto distante dagli Stati Uniti. Ma hanno un vantaggio. Le armi costano molto meno all’Est che in Occidente e Putin, nel discorso alla nazione del primo marzo scorso, ha vantato di possederne di rivoluzionarie. Una sa di sorpresa totale e di 'spessore'. Si chiama Kinzhal ed è un missile da crociera ipersonico da 2mila km, che dovrebbe correre a 3mila metri al secondo, dieci volte più del suono. I russi dicono di averlo testato con successo e grandi fanfare mediatiche l’11 marzo scorso. Nessuno, nemmeno gli americani sono mai riusciti a tanto. Hanno forse perso in un colpo solo il primato tecnologico e l’efficacia di tutti i sistemi antimissile esistenti? Qualcosa non è chiaro. Permettete un dato tecnico. Nei test eseguiti finora, a velocità cinque volte superiori al suono, gli strati esterni di un missile cruise si sono sempre sfaldati per il surriscaldamento. A 1.000° centigradi, la testa solitamente si è disintegrata, dopo una resistenza effimera. In mezzo secolo di ricerche, gli americani non sono ancora riusciti a venirne a capo e non hanno confezionato un missile paragonabile a quello russo. È credibile, nonostante risorse economiche e tecniche teoricamente superiori?

E c’è dell’altro. I russi avrebbero sviluppato il missile 'rivoluzionario' nel più grande segreto, da almeno otto anni. Eppure, nel nuovo corso di Putin, i media del Cremlino sono prodighi di informazioni e di panegirici sulle nuove armi, che beneficiano di una politica commerciale a dir poco agguerrita. Perché questo silenzio assoluto? Forse perché il missile è un semi-aggiramento del trattato sulle forze nucleari intermedie, pietra angolare della sicurezza europea dal 1987? L’annuncio di Putin arriva peraltro in tempi sospetti. Il 18 marzo si terranno nel Paese le elezioni presidenziali, a candidato quasi unico e certo di vittoria. Bisogna prendere con le pinze i proclami fantasmagorici di carattere politico, distinguendo fra messaggi a fini propagandistici interni ed esterni, realtà tecniche e utilità di questi armamenti. Secondo il presidente russo, la nuova arma, a testata nucleare o convenzionale, sarebbe già operativa, schierata nel distretto militare meridionale dal primo dicembre scorso. Dobbiamo credergli? Alcuni analisti sembrano scettici. Forse i russi sono riusciti a valicare le barriere termiche insormontabili per gli Stati Uniti? Stranamente il Pentagono dice di non essere sorpreso. Ha pronta la contromossa e la nuova escalation? Certo, durante la guerra siriana tutti hanno capito purtroppo che i missili russi hanno fatto progressi da gigante, almeno nelle velocità supersoniche. Il generale britannico Ben Barry, analista al think tank londinese Iiss, stima quei raid missilistici un successo strategico, perché la prima impressione che se ne ricava è che Mosca giochi ormai su un tavolo di parità strategica con gli Stati Uniti.

A uscirne galvanizzato è il potere dissuasivo di Mosca, che acquista una proiezione geografica inattesa e rilancia l’attualità delle problematiche d’interdizione. Una risposta chiara ai progetti americani (e alleati) di scudo antibalistico e al Conventional Prompt Global Strike (Pgs), che dovrebbe permettere agli Usa di sferrare raid convenzionali in qualsiasi punto del pianeta in meno di un’ora, mediante un continuum aria-spazio e tecnologie ipersoniche. Sulle ultime bisogna spendere due parole. L’ex ufficiale e analista Maxim Shepovalenko ha messo nero su bianco che l’insieme fra il Colpo globale convenzionale e lo scudo antimissile balistico inficia i fondamenti della dissuasione, perché spiana la strada a una vittoria convenzionale statunitense, ottenuta decapitando i silos e intercettando i missili strategici russi. Gli americani stanno sondando da tempo diversi sistemi e sperano di immettere in servizio la loro arma (High Speed Strike Weapon) intorno al 2025. È in quest’ottica che vanno inquadrati gli annunci e i potenziali missili ipersonici nucleari russi. Ne è convinto l’accademico delle scienze Andrei Kokoshin, ex segretario del Consiglio di sicurezza russo: «I missili ipersonici sono l’unica soluzione a lungo termine, per rispondere al Pgs e aggirare le difese antimissile». Nonostante gli annunci grandiosi di Putin, permangono però dubbi di fattibilità immediata, fermo restando che i russi non sono dei neofiti.

Gli ingegneri del centro studi e ricerche Raduga avevano cominciato a lambiccarsi su un programma ipersonico già nel 1997, ma venendo a mancare i fondi non ne fecero più nulla. I liberali, allora in auge in Russia, pensavano che il paese non avrebbe più avuto necessità di un’aviazione strategica e tanto meno nucleare perché caldeggiavano a gran voce un’alleanza politico-militare con l’Occidente. Fu una finestra di opportunità che non si sarebbe più ripresentata. La Nato non seppe coglierla. Anzi. Con l’arrivo di Vladimir Putin al potere la musica è cambiata. Chi conosca la seconda, la terza e la quarta dottrina militare post-sovietica del 2000, 2009 e 2015 saprà che la questione dei missili antimissili balistici e dei radar alle frontiere russe è centrale in tutti e tre i documenti. Vi aleggiano le stesse inquietudini che pervasero gli Stati Uniti durante la crisi di Cuba del 1962, con portate certo diverse. Da allora in avanti è stato un dialogo fra sordi. Lo scudo della Nato è stato avallato definitivamente al vertice di Istanbul del 2004, con tappe decisive nel 2007, nel 2016 e, una prossima, in Polonia, quest’anno. La contromossa russa si chiama a quanto pare Kinzhal. Forse i russi non potranno sostenere la nuova corsa agli armamenti, ma stanno contestualizzando e aggiornando i piani di ammodernamento, con uno sforzo innovativo enorme, teso a risolvere i tanti dilemmi della sicurezza nazionale e della protezione di un territorio sconfinato, esteso per più di 17 milioni di kmq. Ecco il perché delle loro ultime mosse, più o meno credibili.

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