Il rivoluzionario e la sua ombra
domenica 27 novembre 2016

L’ombra di Fidel Castro, forse la più longeva controversa e acclamata personalità politica del Novecento assieme a Winston Churchill, ci impedisce – e nel momento del rammarico e del cordoglio, del dolore umano e politico e per taluni del giubilo ciò è più che comprensibile – di separarne con chiarezza il destino terreno dal futuro di Cuba. Quella Cuba che cinquantasette anni prima aveva contribuito in prima persona a forgiare: troppo conosciuta, indagata, vivisezionata è la sua figura, troppo famigerate le sue imprese, le sue esternazioni, le sue capriole ideologiche, troppo perfino quell’oblio che l’inverno degli ultimi anni di vita gli aveva assegnato, relegandolo – quasi una sorta di immateriale simulacro – al ruolo di anziano padre nobile più che in quello di Líder Máximo.

Per dieci anni, dal momento in cui aveva passato il bastone del comando al fratello Raúl, il vecchio jefe ha assistito silenzioso e pieno di dubbi al tramonto, al lento sfibrarsi, allo snaturarsi di quell’orgogliosa diversità che solo il laboratorio cubano sembrava in grado di far germinare, tanto da accreditarsi per decenni come fascinoso modello internazionale di una via caraibica al comunismo, non allineata ma rivoluzionaria, critica sia dell’imperialismo yanqui sia infine di quello sovietico, una terza via comunque comunista che era riuscita a sedurre intellettuali e politici di tutto il mondo.

Purtroppo il pedaggio che i cubani hanno dovuto pagare per quel sogno si è intinto nell’acre sapore della povertà endemica in un’isola assediata per cinque decenni dall’embargo americano, dalla quale si tentava tragicamente di fuggire e dove assieme all’eccellenza del sistema sanitario e dell’istruzione obbligatoria (mai eguagliate in nessuna delle contrade latinoamericane) permaneva ferreo il controllo poliziesco di cui ogni regime non democratico – e quello cubano è ancora un regime non democratico – non può fare a meno. Non sapremo mai esattamente quanti sono stati i dissidenti imprigionati e morti nelle carceri di Fidel Castro, quanti i cristiani intimiditi ed emarginati, quanti gli omosessuali lasciati languire in cella, quanti gli artisti, i poeti, gli scrittori costretti all’autocritica, all’abiura, alla delazione.

Per questo, quando i fiammeggianti stendardi delle celebrazioni e del cordoglio cesseranno di sventolare, la vera domanda che ci dovrà porre è una sola: che ne sarà di Cuba? Quesito al momento irrisolvibile, perché contiene quell’ostacolo grande come un macigno di nome Raúl Modesto Castro Ruz. Chi sperava che il fratello oggi ottantacinquenne di Fidel divenisse protagonista del deshielo, è andato incontro a una serie di delusioni: sotto il pugno di ferro di Raúl (da sempre considerato non senza ragione più intransigente e giacobino del fratello) la giovane nomenklatura che si immaginava potesse prendere le redini del Paese è stata impietosamente esautorata, i possibili delfini soffocati nella culla, le liberalizzazioni economiche promesse non sono andate molto al di là della concessione di un permesso di affittare camere o di cucinare pollo con il riso per i turisti (attività da sempre fiorente nonostante il divieto formale del governo). Talvolta la rigidità di Raúl ha fatto sembrare Fidel un campione di moderazione. Perfino il dialogo avviato con il 'nemico americano' non è opera sua: sono occorsi tre viaggi papali (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) e la persistente e silenziosa mediazione vaticana perché Washington e L’Avana si avvicinassero dopo mezzo secolo di reciproca sordità. Appartato ma sentenzioso e vigile, Fidel rimaneva nell’ombra a consigliare, suggerire e difendere caparbiamente la sua rivoluzione. Fino all’ultimo, come si è visto. E anche qui sta la sua corrusca grandezza.

Ma non facciamoci illusioni. La transizione sarà ancora molto lunga e tormentata. Il castrismo non è affatto estinto, i vecchi vizi di un potere decrepito ma feroce quanto quello che il suo amico Gabriel Garcia Márquez immaginò nel maestoso affresco dell’Autunno del patriarca resistono come una tigna inestirpabile. Solo quando anche Raúl si congederà davvero dalla vita politica cominceremo a capire quale sentiero prenderà Cuba e cosa sarà del suo popolo pieno di dignità e di orgoglio, che – tutti dovrebbero riconoscerlo – nell’ultimo mezzo secolo avrebbe meritato qualcosa di più.

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