Il patto che si sta violando
mercoledì 13 ottobre 2021

Sta diventando come uno di quei romanzi di una volta, per orientarsi nei quali non c’era altro modo che farsi uno schema. Non che fosse sempre una buona idea, perché all’improvviso, ridotta a uno specchietto, la trama che tanto risultava avvincente rivelava ingenuità e contraddizioni. Possibile?, ci si domandava. Salvo poi tuffarsi nuovamente nella lettura, proprio come oggi ci si abbandona a una serie tv, rassegnandosi a ignorare eventuali incongruenze. È il cosiddetto patto con il lettore (o con lo spettatore), che è libero di decidere a che cosa credere o non credere, almeno limitatamente al racconto di finzione. Con la cronaca, invece, non va così.

Nella realtà vige un altro genere di patto o, meglio, di patti che nella loro articolazione complessiva permettono la convivenza tra le persone. In una società non occorre che tutti vadano d’accordo su tutto, ma è indispensabile che su qualcosa tutti vadano d’accordo. L’importante è stabilire quali siano questi elementi irrinunciabili. Fino a un paio di anni fa, si poteva ritenere che la tutela della salute fosse appunto una questione condivisa: indiscutibilmente condivisa, come tutte le questioni di vita o di morte.

Certo, già allora la renitenza ai vaccini veniva spacciata come atto di coraggio, ma a sostenere questa tesi e altre simili era una minoranza niente affatto consistente, per quanto rumorosa. Con la pandemia per alcuni lo scenario è cambiato, e le ricadute sono drammatiche per tutti. Alla vasta e pressoché totale solidarietà dei primi tempi è subentrata anche una cultura del sospetto che non risparmia niente e nessuno, mentre il salto di specie dai novax ai no-pass ha portato con sé intimidazioni e violenze, purtroppo non soltanto verbali. In qualche modo bisogna uscirne, si dice, e ai meno fantasiosi viene in mente un sistema di facile applicazione: ci vacciniamo tutti e la chiudiamo lì. Soluzione semplicistica, ammettiamolo, alla quale però si finisce per guardare con simpatia quando si passano in rassegna le alternative. Come quella di cui si è discusso negli ultimi giorni e che prevedrebbe l’esecuzione di tamponi gratuiti per i lavoratori sprovvisti della fatidica Certificazione verde.

Ecco, è qui che non ci si raccapezza più e si invoca il riassunto delle puntate precedenti. Dunque, il vaccino viene messo a disposizione gratuitamente, senza alcuna pratica discriminatoria. Lo stesso Green Pass non viene rilasciato sulla base di una qualche valutazione dispotica da parte delle autorità, ma si limita a segnalare il fatto che il detentore non è pericoloso per gli altri. Nella maggior parte dei casi, questa condizione si consegue con il vaccino. Chi non si vaccina non può dare certezza e, quindi, non può ottenere la Certificazione verde.

E fino a questo punto ci siamo. I problemi sorgono quando il non vaccinato rivendica gli stessi diritti di chi, essendosi vaccinato, ha il Green Pass. Bene, ma per quale motivo esattamente, dopo aver rifiutato un servizio (il vaccino) erogato gratuitamente per il bene della collettività, si sarebbe tenuti a ricevere gratuitamente un altro servizio (il tampone) che va principalmente a beneficio del singolo? Allo stesso modo, perché l’accesso al lavoro da remoto dovrebbe essere assicurato in via prioritaria a chi, sprovvisto di Green Pass, non può essere ammesso nello spazio in cui operano i suoi colleghi? Perché ipotizzare un beneficio ulteriore per quanti, in sostanza, si sottraggono alla regola solidale e sempre più spesso agitano la minaccia dell’insurrezione?

Perché, dopo tutta la sofferenza che abbiamo patito e tutti i morti che abbiamo pianto, siamo costretti a farci domande come queste? Quale pagina del romanzo abbiamo saltato? Quale episodio della serie ci è sfuggito? E, più che altro, chi ha violato il patto che dovrebbe legarci gli uni agli altri?

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