mercoledì 5 agosto 2020
La sfida dei prossimi mesi è elaborare un piano coerente e integrato in grado di rafforzare le nuove generazioni. Con loro protagonisti, incoraggiata la formazione di nuove famiglie e le nascite.
Un laboratorio in un'azienda produttrice di energia eolica

Un laboratorio in un'azienda produttrice di energia eolica - Romano Siciliani

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L’articolo di oggi è il primo di un percorso di scoperta e conoscenza delle nuove generazioni che Avvenire vuole offrire con il contributo dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo, che compie la più approfondita rilevazione sull’universo giovanile in Italia, avvalendosi delle competenze dei docenti dell’Università Cattolica. La formazione e la ricerca sono i due compiti essenziali del Toniolo e della Cattolica, di cui l’Istituto è ente fondatore e in questa fase di ripartenza dopo l’emergenza sanitaria diventano gli assi portanti di un’alleanza fra le generazioni per costruire il futuro dei giovani nel nostro Paese. Domenica 20 settembre si celebrerà la 96esima Giornata per l’Università Cattolica, promossa dal Toniolo, prima tappa del percorso di preparazione al Centenario dell’Ateneo (www.giornatauniversitacattolica. it), e occasione per promuovere il ruolo dell’Università e per riflettere sull’apporto della cultura cattolica nel ridisegnare le prospettive di ripresa.

L’Italia è uno dei Paesi avanzati che meno sono riusciti a intraprendere un solido percorso di crescita, nel senso più inclusivo, nel primo tratto di questo secolo. Non è solo una questione di Pil rimasto su livelli modesti – sia rispetto al passato che nei confronti dei Paesi con cui ci confrontiamo – ma anche di indicatori sociali, demografici e del mercato del lavoro, da tempo inchiodati in coda alle classifiche europee. Non riuscendo ad aggiustare un percorso che la stava portando ostinatamente fuori rotta – con crescente vulnerabilità rispetto a vecchi e nuovi rischi, erosione del senso di fiducia e di visione positiva del futuro – nella prima parte del 2020 il Paese ha deciso di fermarsi. Una sorta di pit stop per cambiare le gomme e reimpostare la strategia di un rientro in corsa più competitivo.

Come ben sappiamo non è andata così. Purtroppo ci siamo fermati non per nostra scelta ma perché obbligati dalla tragica emergenza sanitaria causata dal Covid-19. Finora la preoccupazione si è concentrata, giustamente, sulla salvaguardia delle condizioni di salute. Dobbiamo però ora progettare una ripartenza che sia scelta da noi rispetto a un futuro desiderato e non, invece, subìta come esito di una serie di mosse in difesa dalla pandemia senza una chiara prospettiva di vera rinascita del Paese. Due sono, allora, le condizioni cruciali per una ripartenza guidata da quello che vogliamo diventare e non dal timore di quello che possiamo perdere. La prima condizione è la necessità, anzi l’opportunità, di definire l’idea di Paese in cui vogliamo riconoscerci e a cui destinare le migliori risorse e il miglior impegno del presente per realizzarla. La seconda condizione è il riconoscimento che un ruolo chiave – sia su definizione che realizzazione della ripartenza – devono averlo le nuove generazioni.

Nessuna solida prospettiva di costruzione di un futuro migliore del presente è, infatti, possibile escludendo o lasciando ai margini i giovani. La popolazione riparte sempre dalle nuove generazioni. È così che il mondo cambia: con nuovi arrivati che portano il loro sguardo nuovo sul mondo reinterpretando le sfide del proprio tempo. E tale cambiamento diventa effettivo miglioramento quando le nuove generazioni sono messe nelle condizioni di generare nuovo valore con ricadute positive per tutti. Al contrario, nei contesti in cui non si investe sulle nuove generazioni si riducono le loro prospettive con ricadute negative collettive: i giovani partecipano di meno al mercato del lavoro, rimangono più a lungo dipendenti dai genitori, si accontentano di svolgere lavori in nero o sottopagati, oppure se ne vanno altrove.

Così l’economia non cresce e non si formano nuove famiglie. Questo porta le nascite progressivamente a diminuire e la popolazione ad invecchiare, con risorse sempre più scarse da redistribuire e conseguente aumento delle diseguaglianze sociali. Questa consapevolezza deve diventare ancora più forte oggi in Italia, perché proprio il contributo qualificato delle nuove generazioni è ciò che più è mancato finora ai processi di produzione di benessere nel nostro Paese e perché senza tale contributo nei prossimi anni la combinazione tra peso del debito pubblico e squilibri demografici è destinata a diventa- re insostenibile. L’Italia si è presentata all’entrata del terzo decennio con una delle peggiori combinazioni nel mondo sviluppato tra bassa incidenza di giovani nella popolazione e bassa possibilità dei giovani di incidere nella società e sull’economia.

Abbiamo assistito a varie misure di rilievo su specifici ambiti, come l’Alternanza scuola-lavoro, Garanzia giovani, lo stesso Reddito di cittadinanza, realizzate con due grandi limiti: senza un vero coinvolgimento delle nuove generazioni e senza un piano ampio all’interno del quale ciascuna iniziativa si inserisse per contribuire a comporre un disegno organico unico, con obiettivi chiari ben definiti da realizzare in modo integrato. Si è trattato di azioni sostanzialmente indipendenti, fatte partire, come da più parti sottolineato, con una certa improvvisazione, portando a esiti limitati, se non insoddisfacenti, in termini di rafforzamento della presenza qualificata dei giovani all’interno del sistema produttivo italiano (o, meglio, dei processi che generano, quantitativamente e qualitativamente, nuovo benessere nel Paese).

Più nello specifico, quello che è sinora mancato è un piano coerente e integrato in grado di consentire ai giovani di essere adeguatamente orientati nelle scelte formative, di essere dotati di competenze solide (avanzate e trasversali), di poter contare su strumenti efficaci per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, di ottenere piena valorizzazione all’interno delle organizzazioni e delle aziende. L’impatto della pandemia ha peggiorato ulteriormente questo quadro. Ha però anche offerto una nuova consapevolezza della necessità di avviare una fase diversa, resa concreta dall’opportunità di utilizzare le robuste risorse previste dal Recovery fund. Ma le risorse sono condizione necessaria, non sufficiente, per consentire all’Italia di indirizzarsi verso un nuovo e più solido percorso di crescita. Anche il programma Garanzia giovani, avviato dopo l’impatto della recessione del 2008-13, ha potuto contare su consistenti risorse, eppure i risultati non sono stati tali da produrre un effetto trasformativo sul posizionamento delle nuove generazioni nei processi di sviluppo del Paese.

Non si tratta, allora, solo di quantità di investimento nei confronti dei giovani ma anche di qualità di attenzione alla diversità di cui sono portatori, a come le loro specificità si coniugano con le novità del secolo in cui viviamo, a come interagiscono con le caratteristiche culturali e strutturali del nostro Paese. Il "Rapporto giovani 2020" dell’Istituto Toniolo mette in evidenza, in particolare, come lavoro, partecipazione sociale e consumo siano ambiti sui quali la forte attenzione nella dimensione quantitativa debba essere integrata con la consapevolezza di un profondo mutamento qualitativo che trova accelerazione nello scenario post Covid- 19. In tale mutamento entrano in gioco grandi trasformazioni rispetto alle modalità di produzione, fruizione, partecipazione e condivisione, ma anche nuove sensibilità e preferenze (come alcuni temi eticosociali, un senso più ampio di benessere, la sensibilità verso la salute e l’ambiente).

Serve, quindi, un modello sociale e di sviluppo diverso da costruire non tanto "per" ma "con" le nuove generazioni, come continuamente ribadito anche nelle edizioni precedenti del Rapporto giovani. Quello che è certo è che se anche questa terza decade di questo secolo – tanto più nello scenario post-coronavirus – sarà simile alle prime due, sarà difficile per i giovani italiani immaginare di raggiungere obiettivi professionali e di vita comparabili con quelli delle aree di più avanzato sviluppo in Europa e nel mondo. Ma è comunque anche certo che questo decennio sarà diverso nella misura in cui il ruolo delle nuove generazioni nella società e nell’economia potrà essere diverso.


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