La fatica (non scontata) che tocca a Biden
venerdì 8 gennaio 2021

Non sarà facile ora per Joe Biden arginare gli effetti della deriva che ha trascinato fino alle estreme conseguenze quella minoranza paranoica e radicalizzata che il 6 gennaio ha dato l’assalto a Capitol Hill in nome di una inesistente 'truffa elettorale'. Non sarà facile, perché con la loro atomizzazione semplificatoria quei gruppuscoli hanno agito da catalizzatore delle frustrazioni e dell’insoddisfazione di molti degli oltre settantaquattro milioni di americani che hanno dato il proprio voto a Donald Trump, attingendo soprattutto a un 'pensiero magico' che spesso a torto si crede sopito nelle società più avanzate. Non occorre infatti scomodare Lévi-Strauss o Jung per decifrare cosa si nasconde dietro alle lunghe corna del caricaturale sciamano che ha invaso l’aula del Senato o alla raccapricciante teoria di un sinedrio internazionale di perversi demiurghi intenzionati a distruggere la supremazia dell’etnia bianca.

Grande se non esclusiva responsabilità dei fatti accaduti a Washington sta nel dissennato comportamento del presidente Trump, nella sua martellante e ininterrotta guerriglia nei confronti delle istituzioni (che pure incarnava), della stampa, degli avversari politici, delle minoranze, nella sua ossessiva tendenza a negare i fatti, a vellicare quei radicalismi eversivi e a circoscrivere nel recinto di un indimostrabile complotto il lento declino che lo ha condotto alla sconfitta elettorale. Una sconfitta netta, ma non una disfatta, e per questo – come si è visto – levatrice di ulteriore odio e intolleranza.

Ma più ancora dell’immane sforzo che Biden e la sua vice Kamala Harris dovranno compiere insieme al Congresso per rappacificare un’America ferita da se stessa, sarà estremamente arduo riaccendere le luci su quella «City upon a Hill» , la città evangelicamente posta sulla collina (Matteo 5:14-16) che i padri fondatori hanno eletto a mito fondativo del Nuovo Mondo. Un mito che si è frantumato in una notte.

Perché dopo un’irruzione armi in pugno in Parlamento, così tristemente simile a quella del tenente-colonnello della Guardia Civil Tejero nel febbraio del 1981 a Madrid, dopo uno sfregio così plateale del cuore delle istituzioni democratiche, dopo un’insurrezione scopertamente incoraggiata da un presidente che aveva giurato di difendere la Costituzione e che ha sovente fatto di tutto per corromperla, cosa resterà nel mondo dell’immagine dell’America? Chi potrà ancora guardare a quel Paese che aveva fatto della difesa della democrazia un precetto, forte di un primato morale che si era guadagnato (se pur con molte ombre) nel corso dell’ultimo secolo?

Chi fra i tanti leader delle democrature (come Putin, Erdogan, Orbán, Bolsonaro, al-Sisi) e dei regimi autoritari (come Xi Jinping, Lukashenko, le varie satrapie mediorientali) potrà accettare senza un sorriso beffardo il richiamo a quei valori superiori di civiltà e di pace che l’America ha costantemente promosso fino al punto di aggiudicarsi il diritto-dovere di 'esportare' manu militari la democrazia? Non a caso a poche ore dall’insurrezione Mosca ha criticato il sistema elettorale americano come «arcaico, antidemocratico e responsabile delle profonde divisioni del Paese».

Con il tragico epilogo di Capitol Hill l’America ha perduto quel che restava della propria autorità morale. Occorrerà del tempo, probabilmente molto tempo perché possa ancora stagliarsi sulla collina la città che per milioni di uomini e donne di ogni Paese – soprattutto quelli schiacciati dalle dittature, dall’intolleranza, dall’arretratezza e dalla povertà – era stata a lungo il faro cui guardare con speranza. Di quel sogno americano oggi resta ben poco. Ben più grave e profondo del turbinoso mandato di Donald Trump è viceversa il solco che si aperto nel cuore dell’America e altrettanto dolorosa la ferita che le è stata inferta.

Con il rischio, che fin da subito si avverte, che nello zelo riformatore che inevitabilmente s’instaurerà con la presidenza Biden quella ferita si allarghi ulteriormente se prevarranno i radicalismi che pure esistono anche nel campo democratico. Occorrerà saggezza, misura, fermezza per far tornare i mostri che il pensiero magico ha evocato nelle viscere oscure da cui son venuti e ripristinare la credibilità perduta. Compito non facile. Considerando che lo slogan, paradossalmente, è rimasto lo stesso adoperato da Trump: Make America great again!

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