mercoledì 21 agosto 2013
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Gentile direttore,
i 26 parlamentari che si sono rivolti ad "Avvenire" per illustrare l’asserito lavoro di miglioramento del disegno di legge Scalfarotto, premettono le proprie credenziali di "cattolicità", ma dovrebbero essere i contenuti a giustificare la qualificazione e non viceversa. E io trovo sconcertante la inconsapevolezza che essi manifestano rispetto alla materia di cui si stanno occupando. Vantano, infatti, di avere suggerito correttivi capaci di comporre esigenze diverse, come se si trattasse di una delle tante materie suscettibili di un qualunque compromesso politico, più o meno innocuo. Qui si tratta di una legge penale, la norma in cui si esprimono in massima misura le esigenze di tutela di tutta la società da un lato, il potere punitivo dello Stato e la correlativa necessaria garanzia della libertà individuale dall’altro.
Come è noto, la legge penale individua, infatti, i valori fondamentali e irrinunciabili di una collettività, e li protegge da comportamenti lesivi che possano comprometterne la stabilità. Essi sono la vita, l’onore, la libertà individuale nei limiti consentiti dall’ordinamento, la proprietà, l’incolumità personale, il corretto funzionamento delle istituzioni ecc. L’interesse in gioco è un interesse pubblico, perciò collettivo e riconosciuto come tale. Questo ddl non ha alcun fondamento giuridico, perché si basa sul presupposto – inesistente – di una presunta situazione di minorata difesa dei soggetti omosessuali che, come qualunque altro soggetto, ovviamente godono, in quanto cittadini, della tutela penale generale. Al di là della tutela generale, il sistema penale ne accorda una "privilegiata" solo in ragione o di particolari valori prevalenti (come ad esempio nel caso delle offese al Capo dello Stato) o in ragione della particolare situazione di debolezza dell’offeso dal reato (come nel caso del minore o dell’incapace per motivi fisici o psichici).
È anche imprescindibile ribadire la assoluta illegittimità del ddl dal punto di vista sia dei princìpi costituzionali, sia di quelli che regolano la concreta applicazione della legge penale, per prevenirne l’uso arbitrario. Con le norme proposte, infatti, non solo viene violato gravemente il diritto alla libera manifestazione del pensiero, sancito dall’art. 21 della Costituzione, ma vengono altresì introdotte fattispecie di reato tanto indeterminate e indeterminabili (si parla di violenza, discriminazione, senza alcun elemento descrittivo imprescindibile per un diritto penale che non sia strumento di cieco totalitarismo politico) da esporre il cittadino all’arbitrio della legge e quindi del giudice. Sarebbe anche indispensabile per il bene di tutti che si considerasse finalmente con lucidità che il falso problema di una surreale quanto truffaldina "omofobia" in Italia, è il cavallo di Troia nell’offensiva per impossessarsi delle prerogative della famiglia naturale, l’unica capace di tenere in piedi una società.
Gianfranco Amato, presid​ente di "Giuristi per la vita"
 
Condivido la sostanza delle sue osservazioni, gentile avvocato Amato. Non la disapprovazione del lavoro, niente affatto concluso, dei parlamentari di diversi partiti che – come i 26 della famosa lettera a me indirizzata che si può consultare qui – si sono impegnati a correggere quel testo di legge. Ma questo, da lettore attento, lo sa già. Il ddl sull’omofobia costruito dai relatori Scalfarotto (Pd) e Leone (Pdl) non mi convince e abbiamo spiegato più volte perché un simile progetto minacci di generare più problemi di quanti si proponga di risolvere. La questione della libertà di parola e di opinione è però, a mio avviso, assolutamente decisiva. È la cartina al tornasole delle vere intenzioni dei politici e delle lobby che vogliono imporre questa normativa penale.
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