Una corona di filo spinato
martedì 16 novembre 2021

Meno male che ci sono le "lanterne verdi", accese in più e più case a ridosso dei confini orientali dell’Unione, a segnalare che pietà non è morta e che la civiltà d’Europa non è tutta crocifissa in cima a reticolati taglienti come flagelli. E meno male che le lanterne ce lo dicono in polacco, la lingua di Karol Wojtyla, san Giovanni Paolo II, testimone del Vangelo e profeta di un mondo in cui le identità sono custodite e amate e le barriere abbattute.

Le lanterne verdi promettono di onorare l’antico ed elementare dovere del soccorso e dell’ospitalità, e parlano ai profughi curdi e iracheni sospinti sulla frontiera che da oriente s’estende dalla Bielorussia e s’incunea tra Polonia e Lituania. Qui, poche migliaia di uomini e donne e bambini senza-nulla sono stati fatti "esercito" e vengono tenuti in ostaggio in un conflitto non meno crudele di quello da cui scappano, letteralmente stritolati dal calcolo cieco e certo di bielorussi e russi che li usano per far detonare l’esplosiva miscela di rifiuto dell’altro e del povero che intossica, snerva e svia la politica europea e un pezzo della nostra società, la più sazia e tutelata del mondo.

Lanterne verdi alle finestre per segnalare che qui si può chiedere aiuto

Lanterne verdi alle finestre per segnalare che qui si può chiedere aiuto - .

Le lanterne verdi parlano a loro e parlano a noi, che dell’Unione e delle sue democrazie siamo figli e cittadini. E sfidano di giustizia e di solidarietà coloro che i migranti strumentalizzano, europei anch’essi, sebbene sotto l’imperio di autocrati senza scrupoli. Quelle luci, e l’offerta di cibo e umano calore che segnalano, accolgono i senza-nulla e rincuorano noi, che non accettiamo la logica del "noi e loro" e che non vogliamo continuare a coronare di filo spinato la nostra bandiera.

Eppure è un fatto: il filo spinato sta sostituendo le stelle sopra le terre d’Europa. Da Est a Ovest, da Nord a Sud. Accade per inerzia e per malizia, per ideologia e per pavidità, accade per perdita di radici e di senso. E per svuotamento di valori. Su questo contano gli avversari – esterni e interni – dell’Unione, sui deficit morali e sulle paure.

Eppure, costoro, avrebbero armi spuntate se i governanti dei Ventisette non si ostinassero a lasciare al caso e all’orrore la politica migratoria e umanitaria di un continente che invecchia e che deve – deve! – uscire dall’autoparalisi indotta dagli egoismi nazionalisti e dall’ormai imbalsamato, ma sempre più miope e iniquo, regolamento di Dublino che riduce i richiedenti asilo ad "appestati" da confinare, costi quel che costi, nei luoghi di "primo ingresso". Già, se questi nostri governanti – che non dicono tutti le stesse cose, ma alla fine recitano tutti la stessa pessima parte – non avessero fatto dei "migranti" il mostro politico-mediatico che sappiamo, se non avessero travestito gli inermi da invasori e confuso immigrati e criminali, se non avessero persino trasformato le vittime in carnefici e costruito norme e sistemi che "clandestinizzano" quasi tutti i lavoratori più poveri (e non meno essenziali), oggi Lukashenko e Putin, Erdogan e i signori della guerra libici non avrebbero modo di scatenare pericolose e redditizie crisi ai confini di un’Unione che magari non finanzia apertamente nuovi muri (come qualcuno vorrebbe), ma tanti ne costruisce "a prescindere", esibiti o appena dissimulati. Barriere che bloccano e infragiliscono anche chi le ha concepite e le mantiene.

Per tutto questo le lanterne verdi polacche non bastano. E le domande non danno tregua. Se l’Europa è i campi di concentramento di Lesbo. Se l’Europa è il finanziamento diretto o indiretto dei lager e dei negrieri di Libia. Se l’Europa è l’intrico balcanico di recinti, campi minati e miliziani picchiatori. Se l’Europa è i fucili spianati di Ceuta e Melilla. Se l’Europa è le "giungle" di Calais. Se l’Europa sono gli eserciti schierati ai confini orientali e i poveri in mezzo. Se questa è l’Europa, l’Europa è imbelle, incrudelita e tradita. E noi non possiamo più dirci europei. Eppure europei, una buona volta, dobbiamo deciderci a essere.

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