mercoledì 27 luglio 2022
Non solo movimento "woke" contro il razzismo e a favore del gender. La risposta è la mobilitazione contro scuole e biblioteche che ospitano testi progressisti. Anche i classici ne fanno le spese.
Studenti nella biblioteca di una scuola superiore americana

Studenti nella biblioteca di una scuola superiore americana

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La Corte Suprema americana a maggioranza conservatrice è entrata nelle "guerre culturali" che stanno dividendo l’America. Lo ha fatto con una raffica di decisioni nella sessione estiva. Spesso i nove giudici di Washington hanno emesso sentenze capaci di orientare il dibattito delle idee e dei costumi. Se l’aborto fa storia a sé (ed è gia stato oggetto di molte analisi), altri pronunciamenti in apparenza minori in queste settimane hanno cominciato a riportare il pendolo nazionale verso una parziale rimodulazione dei diritti delle minoranze dopo l’era liberal finita con Trump. In particolare, scelte in questa direzione hanno riguardato l’autonomia amministrativa concessa a gruppi di nativi (ridotta) e il ridisegno dei collegi elettorali teso, in alcuni Stati, a penalizzare la rappresentanza dei gruppi etnici diversi dai bianchi (approvato). Ciò riporta alla ribalta quello scontro ideologico tra repubblicani e democratici, a livello istituzionale, e tra destra e sinistra, a livello politico, che sta infiammando e lacerando la società Usa.

Ovviamente, le "cultural wars" in senso pieno riguardano la fascia più istruita della popolazione, ma coinvolgono anche i gruppi anti-elites ed anti-intellettuali che prevalgono numericamente negli States, mentre contribuiscono alla ricchezza della nazione in misura proporzionalmente minore. Perché se la "cancel culture" e il movimento "woke" sono paladini di un politicamente corretto che pretende di rettificare con i parametri di oggi l’intera produzione del passato, la censura conservatrice preme per espungere da scuole e biblioteche tutta quella letteratura che affronta temi delicati, dal razzismo sistemico all’orientamento di genere. Si tratta del fenomeno più nuovo e di dimensioni crescenti. Nel mirino finiscono insegnanti e bibliotecari, "rei" di diffondere materiali che potrebbero corrompere le giovani menti dei ragazzi.

Non si tratta soltanto di combattere i libri "pericolosi", ma anche controllare gli operatori scolastici sui loro profili social, a caccia di posizioni troppo esplicite in materia sessuale o politica. L’idea è che chi espone argomenti "discutibili" su Internet con buona probabilità li proporrà anche in classe. Ma dal legittimo dissenso si è passati spesso al mobbing on-line fino alle aggressioni verbali e alle minacce, da parte degli esponenti più facinorosi. "Sotto osservazione" sono tanto le persone quanto le opere. Il gruppo County Citizens Defending Freedom (Ccdf) e altri movimenti locali, a partire soprattutto dal Texas, si battono per fare rimuovere dagli scaffali i volumi che contengono riferimenti all’universo Lgbtq, alla sessualità o discutono di questioni "sensibili". Anche L’occhio più azzurro di Toni Morrison e Tra me e il mondo di Ta-Nehisi Coates, opere acclamate a livello internazionale, sono state giudicate inappropriate. "Mamme per la libertà" e "Mamme per le biblioteche" non solo controllano i testi presenti, ma distribuiscono anche libri dell’editore Brave Books che si dichiarano «ispirati alla libertà» e «capaci di dare ai giovani di questa generazione valori conservatori».

Come riferisce Costanza Rizzacasa d’Orsogna nella sua recente, documentatissima ed equilibrata ricognizione, Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana (Laterza), l’Office of Intellectual Freedom dell’Associazione delle biblioteche Usa (Ala) ha registrato nel 2021 la contestazione o la censura di 1.597 titoli, per il 50% da genitori e solo per il 9% direttamente da gruppi politici o religiosi. Si tratta di un numero record negli ultimi vent’anni, da quando si tiene questa statistica. Tra i volumi più bersagliati da critiche, The Absolutely True Diary of a Part-Time Indian, di Sherman Alexie, romanzo centrato su un ragazzo della riserva indiana che frequenta una scuola con studenti in prevalenza bianchi. Sgradite perfino le biografie per bambini di Michelle Obama e dell’atleta olimpica Wilma Rudolph, accusate di promuovere una segregazione al contrario, contro i bianchi da parte dei neri. L’altro grande spauracchio è infatti la Critical Race Theory, lo studio del razzismo sistemico nella società americana. Si tratta di una disciplina universitaria, che non si studia negli altri gradi di istruzione, ma è citata spessissimo per criminalizzare racconti di autori appartenenti alle minoranze e rivolti alle minoranze perché prendano coscienza della loro condizione e dei loro diritti.

Nella polarizzazione delle posizioni, la "cancel culture" di destra è un fenomeno più recente e forse reattivo di fronte al fenomeno "woke", che ha raggiunto in alcuni casi punte di paranoia e di intolleranza. Woke è parola dalla storia complessa, ben raccontata da Rizzacasa, che nasce dal cosiddetto Black English, il vernacolo afroamericano, per dire "sveglio" (awake) e che solo negli ultimi anni ha assunto il significato condiviso di "consapevolezza sociale" grazie alla mobilitazione di "Black Lives Matter". Tra i libri messi in questione dai progressisti, persino il Buio oltre la siepe, classico di Harper Lee, bandito per epiteti e stereotipi razzisti e il cliché del "salvatore bianco". A quella che veniva considerata una storia esemplare contro le discriminazioni si imputa ora di trasmettere la cultura dell’oppressione e, soprattutto, di dare a un personaggio bianco il ruolo centrale di artefice del riscatto dei neri oppressi, nello specifico l’avvocato Atticus Finch, magistralmente interpretato sullo schermo da Gregory Peck. Un meccanismo narrativo che gli intellettuali woke rintracciano in molti famosi romanzi e film hollywoodiani, nei quali la presenza del "bianco buono" ha lo scopo di alleggerire la responsabilità diffusa per la segregazione e di rendere il prodotto appeti- bile per il pubblico principale cui quei prodotti culturali sono rivolti.

Di qui la pretesa che i ruoli siano rispettati e la convinzione che scurire il volto di una cantante per farle svolgere il ruolo di un personaggio di colore, come è accaduto pochi giorni fa con "Aida" all’Arena di Verona, costituisca un’offesa alle minoranze e un perpetuare la loro denigrazione ed esclusione. Un poeta bianco non può tradurre versi dei neri, e un attore eterosessuale non può recitare la parte di un transgender, perché in entrambe le situazioni non c’è la possibilità di vera comprensione né di immedesimazione nella soggettività e nelle sofferenze di chi non si vede ancora riconoscere pari dignità dai membri privilegiati della società in cui vive. Su questo piano inclinato incappano in scomuniche laiche classici come l’Odissea e financo Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain perché usa la parola «negro».

L' intera storia della cultura è intossicata dalla mascolinità bianca? Ovviamente, no. Ma l’unica via di uscita da questa devastante contrapposizione che sta avvelenando i pozzi dell’accademia e della vita pubblica Usa è fare davvero i conti con la storia, analizzando, discutendo, imparando e migliorando, se possibile. Non è forse vero che i neri sono stati schiavi e poi vittime di segregazione? E che è stato soltanto il presidente Clinton a rimuovere il divieto formale ad assumere omosessuali nell’amministrazione americana? Introdurre leggi che vietino l’insegnamento di queste vicende, come si sta provando a fare per esempio in South Carolina, non contrasterà gli isterismi dell’onda woke, ma ne accentuerà gli eccessi. Chiusura e protezione dei giovani da qualunque stress emotivo da una parte, vittimismo e vendette postume dall’altra rappresentano i tarli che scavano oggi nella cultura americana.

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