Migranti, Giungla di Calais: il marchio da lavar via
martedì 25 ottobre 2016

Stanno smontando, pezzo a pezzo, la Giungla cresciuta a Calais, in riva alla Manica. L’abitavano in migliaia, ma non era loro. Loro hanno volto e nome. La Giungla era terra di nessuno, terra dei nessuno. Ghetto infame, zeppo di dolore per le tragedie e le fatiche dei migranti per forza, eppure pieno di sogni, perché le donne e gli uomini non si rassegnano mai a soffrire e basta. Se ne vanno a migliaia. Alcuni – i più piccoli – forse finalmente verso l’Inghilterra, di là dal mare che non riuscivano a passare. Gli altri sparsi per la Francia che sinora non li aveva accolti né lasciati andare.

E ci sono xenofobi che perciò già gridano alle «mini-Calais», come se la Giungla fosse ormai il marchio impresso sulla carne di chi vi era imprigionato. Sta invece sulla pelle d’Europa il marchio. E non c’è civile operazione di pulizia, né di polizia, che lo potrà lavare se, ovunque, non diverrà regola l’ancora piccola "eccezione italiana" dei corridoi umanitari che in queste ore si ripete. Riconoscere il bisogno e il diritto all'asilo e al domani, strappare i profughi alla mortale non-legge dei trafficanti e a ogni Giungla. È l’unica via, il vero prologo alla giustizia che comincerà quando nessuno più dovrà fuggire la terra dov'è nato.

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