sabato 16 novembre 2019
Al verbo «generare» serve un’etica civile, non individualistica
Un nuovo arcobaleno per il futuro della città
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Firenze. Al via il 3° Forum di Etica Civile. «Verso un patto tra generazioni: un presente giusto per tutti » è il tema del terzo Forum nazionale di Etica Civile che si tiene oggi e domani a Firenze. In questa pagina anticipiamo due degli interventi previsti oggi. Domani tra gli altri interverrà Enrico Giovannini, portavoce Asvis, e Marco Tarquinio, direttore di Avvenire.

Generazione: la parola che domina queste giornate è decisiva; lo è nel senso proprio del termine, poiché essa decide del futuro; è una di quelle parole letteralmente 'pregnanti', che concentrano passato, presente e futuro. Quando un popolo non genera più, diventa sterile e muore; cresce invece quando è fecondo, è materno, dà vita ad altri. Nella lingua greca, il verbo gennao ha a che fare con l’origine, con la 'genesi'. E proprio il libro della Genesi, il primo della Bibbia, conclude il famoso racconto dei giorni della creazione con un breve commento: «queste sono le generazioni del cielo e della terra, quando vennero creati» (Gen 2,4a). Il sostantivo 'generazione', del resto, percorre l’intera Bibbia: comparendo 245 volte, senza contare le ricorrenze del verbo 'generare'. Negli scritti fondativi dell’ebraismo e del cristianesimo, ai quali si riconducono spesso anche quelli della tradizione islamica, ciò che oggi chiamiamo 'intergenerazionalità' è dunque ben presente. È marcata la coscienza di una responsabilità non solo orizzontale, verso gli altri esseri umani oggi esistenti, ma anche e soprattutto verticale, verso gli esseri umani che verranno. Se il primo libro dell’Antico Testamento comincia con le generazioni del cielo e della terra, cioè con uno sguardo cosmico evolutivo, il primo libro del Nuovo Testamento – il Vangelo di Matteo – comincia martellando il verbo 'generare'. Le prime parole sono: «genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo». E poi ripete di seguito per ben 38 volte, nel giro di soli 16 versetti, il termine 'generò', inanellando di seguito 42 generazioni, per arrivare infine a dire: «Così fu generato Gesù Cristo»... (Mt 1,18).

Le prime pagine del Primo e del Secondo Testamento hanno dunque come 'editoriale' il tema delle generazioni: le generazioni cosmiche e quelle storiche. Sono squarci, quelli biblici, che oggi definiremmo di «ecologia integrale»: non sono fotografie, ma filmati: l’errore fondamentale delle civiltà e delle culture sterili o scarsamente feconde, nel corso dei secoli, è quello di pensare solamente al proprio fotogramma, incorniciarlo ed abbellirlo, dimenticando che si tratta appunto di un fotogramma, cioè di una tessera appartenente ad un insieme in movimento. Questa concentrazione su di sé e sul proprio 'particolare' come se fosse il 'tutto', questo appiattimento sul presente che nel linguaggio biblico è l’essenza del 'peccato', cioè l’egoismo, rende sterile il grembo della società. È un ripiegamento che guarda solo all’io e all’oggi, impedendo di aprirsi al tu e al domani. Da qualche decennio ci stiamo rendendo conto meglio di come questa carenza di 'etica civile' abbia determinato nella nostra civiltà occidentale lo squilibrio ambientale che rischia di consegnare ai posteri una creazione ferita e sconvolta; e di come abbia prodotto lo squilibrio sociale che costringe i bambini e i giovani di oggi a farsi carico del sostentamento degli anziani: pensiamo non solo all’avventatezza del sistema pensionistico costruito pochi decenni fa in Italia, ma più globalmente alla spregiudicatezza di una finanza incontrollata, sganciata dall’economia reale e dai più elementari codici etici.

Una delle espressioni più rivoluzionarie di papa Francesco, in questo senso, è l’incitamento rivolto spesso ai più giovani a «non lasciarsi rubare la speranza». Potrebbe suonare come espressione poetica, ma è invece – evangelicamente – sovversiva. Proprio la speranza, lo sguardo fiducioso al futuro, è la prima vittima di un atteggiamento sterile, ripiegato sull’io e sull’oggi, tutt’altro che generativo. I giovani sono il termometro del grado di fecondità sociale: la loro carenza di speranza è la misura della febbre degli adulti, sintomo di quella patologia che si chiama egoismo, di un’etica individualista che è il contrario dell’etica civile. Grazie a Dio, e a molte persone di buona volontà, non mancano incoraggianti segnali in controtendenza. Potendo avanzare dei paragoni con i ragazzi e i giovani di quasi mezzo secolo fa – per motivi anagrafici – mi sembra giusto registrare una maturazione etica e civile delle nuove generazioni in diverse direzioni: dal rispetto per le persone disabili e svantaggiate alla capacità di rapportarsi positivamente alle diversità sociali, culturali e religiose; dalla sensibilità ecologica alla ricerca di contesti di fraternità e di pace; dalla creatività artistica all’impegno nel volontariato educativo e assistenziale. È inaccettabile la definizione generalista dei 'giovani di oggi' come individui disimpegnati, qualunquisti e distruttivi: ce ne sono, come in tutte le epoche – e come ce ne sono tra gli adulti – ma non costituiscono la cifra del nostro tempo. I giovani, è vero, sono attratti meno dalle istituzioni e più dalle relazioni; e, se entrano nelle istituzioni, è perché possono coltivare delle relazioni. Ma il senso delle istituzioni – sociali, politiche, religiose – è proprio quello di promuovere relazioni giuste e fraterne.

Tra l’io dell’individuo e il noi dell’istituzione c’è il tu della società, delle relazioni di fraternità e prossimità. Per questo l’esperienza intergenerazionale per eccellenza, che è l’educazione – oggi definita spesso 'sfida' – non va pensata a senso unico, ma a doppio senso di circolazione. Non è una semplice eredità da consegnare, ma un vero e proprio 'patto' da stipulare, dove lo scambio è reciproco. La generazione degli adulti deve offrire a quella dei giovani un patrimonio di saggezza ed esperienza; la generazione dei giovani deve presentare a quella degli adulti un patrimonio di istanze, attese e speranze. Il 'futuro della città' dipende anche da quanto gli adulti si lasciano educare dai giovani, si lasciano interpellare dalle loro inquietudini e aspettative. Sono i giovani, oggi, a chiedere agli adulti un’etica più civile, più rispettosa dell’ambiente e delle marginalità. «Il grido della terra e il grido dei poveri», per usare l’espressione rilanciata dalla Laudato sì, risuona specialmente attraverso la sensibilità del mondo giovanile, che sarebbe stolto ignorare o sottovalutare. Generare, per un adulto, non è mai un’azione indolore: la nascita di ogni essere umano comporta sacrifici, attese, sofferenza nel parto, impegno per l’educazione, impiego di risorse per il sostentamento e la cura. 'Generare' per il futuro della città è un’azione che richiede un livello etico alto, negli adulti; un livello che contrasta il ripiegamento sull’io e sull’oggi ed esige proprio quel patto intergenerazionale che la teologia ebraica aveva espresso attraverso la mitica figura di Noè, simbolo dell’intera umanità. Dopo il diluvio, nel quale si salvano lui, la sua famiglia e la coppia di ciascuna specie animale, «Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: 'Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi, con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e animali selvatici, con tutti gli animali che sono usciti dall’arca, con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio, né il diluvio devasterà più la terra'. Dio disse: 'Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra » (Gen 9,8-13). Oggi serve un nuovo arcobaleno tra Dio e gli uomini, tra il cielo dell’etica e la terra della tecnica. Senza questo patto, senza questo nuovo arcobaleno, il diluvio universale dell’egoismo ci travolgerebbe.

Arcivescovo di Modena

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