Gassama, tre volte invisibile, ucciso da un pirata della strada
martedì 22 dicembre 2020

La drammatica morte la sera di sabato di Gassama Gora è tecnicamente un «incidente sul lavoro in itinere». In realtà non sarà mai riconosciuto. Perché l’immigrato maliano di 34 anni, travolto da un’auto pirata sulla strada tra Gioia Tauro e San Ferdinando, era un invisibile. Tornava in bicicletta da una dura giornata di lavoro. Lavoro nero, lavoro sfruttato. Era stanco e non vedeva l’ora di raggiungere la tendopoli di San Ferdinando, l’unico luogo di 'accoglienza' per i braccianti che ogni anno raggiungono la Piana di Gioia Tauro per la raccolta di arance e clementine. Dopo lo sgombero e l’abbattimento dell’enorme e indegna baraccopoli, nel marzo 2019, nulla è stato realizzato per accoglierli. Restano le tende, dove dovrebbero essere ospitate 400 persone, tutte registrate, in realtà ce ne sono di più, che entrano irregolarmente, perché non hanno altro, proprio come Gassama Gora.

Lavorare in nero, dormire in nero, vivere in nero. Tre volte invisibili. Ma Gassama era reale, pedalava lungo lo stradone che corre nell’area industriale sorta alle spalle dell’enorme porto di Gioia Tauro. Un’area piena di capannoni vuoti, ennesimo fallimento e spreco calabrese, eredità di imprenditori truffatori, anche del Nord. Pedalava Gassama, forse pensando alla sua terra lontana che non vedeva da tanto tempo. Forse pensando al giorno dopo, nuovo giorno di fatica e sfruttamento. Forse solo pensando al breve riposo che lo attendeva, fino all’ennesima alba in qualche incrocio di Rosarno sperando di essere 'arruolato'. Pedalava Gassama, e chissà se si è accorto di quell’utilitaria che arrivava alle sue spalle. Un attimo, un colpo, un volo di 30-40 metri. E l’auto che procede senza fermarsi. A terra un uomo, una bicicletta contorta, una busta di pane, una bottiglia di latte, qualche cipolla, la povera cena di un povero bracciante.

Il rapido intervento e l’impegno di Polizia e Carabinieri hanno permesso di individuare in poco tempo i responsabili. Chi era alla guida arrestato per omicidio stradale e omesso soccorso, e i due passeggeri accusati a piede libero per omesso soccorso. L’autista, sprovvisto di patente in quanto revocata, appartiene a una nota famiglia legata alla ’ndrangheta. Ma questa non è storia di mafia, anche se nello sfruttamento dei migranti la ’ndrangheta c’entra, eccome. È, invece, l’ennesima storia di invisibili, di sfruttati, di lavoro e di vita indegna. Don Roberto Meduri, giovane parroco di Rosarno, sempre vicino a tutti i poveri, conosceva bene Gassama. «Qualche volta ha dormito in parrocchia. Veniva anche per comprare il pollo che poi cucinava nella tendopoli. Gli piaceva cucinare e lo faceva come lavoro anche per gli altri. Ma non bastava e così era costretto ad accettare il lavoro nero nei campi». Non solo in Calabria. Come tanti braccianti immigrati seguiva le stagioni dei prodotti agricoli, ed era tornato da poco dal Foggiano dove ora c’è molto poco lavoro. Don Roberto è andato a vedere il luogo dell’incidente: «Un dolore immenso. Qualche cipolla e vari alimenti sul ciglio della strada comprati in qualche ingrosso a Gioia Tauro. La sagoma sbalzata più avanti prima impressa col suo sangue e dopo contornata dal colore della polizia. Un’icona del martirio di quella carne già straziata in vita da un sistema ebbro del delirio del potere». Parole amare. Ancor più perché la morte di Gassama è passata quasi nel silenzio e il suo nome sarà presto dimenticato. Come quello di altri invisibili vittime di incidenti sul lavoro in itinere. Sfogliando i siti di testate locali ne abbiamo trovati ben 12 solo quest’anno, al Nord come al Sud.

Già, ma perché in bicicletta? Ce lo aveva spiegato Osman che ogni giorno si faceva 120 chilometri, tra andata e ritorno, per raggiungere i campi di cipolle di Lamezia Terme partendo proprio da San Ferdinando. «Per risparmiare i 5 euro che chiede il caporale per trasportarci». Tanti soldi per chi ne guadagna ogni giorno non più di 25. Un altro dei problemi ben noti e mai risolti legati allo sfruttamento. Un trasporto neanche sicuro. Come hanno fatto emergere i sedici morti in due incidenti stradali nel Foggiano il 4 e il 6 agosto 2018, stritolati nei furgoni dei caporali. Anche loro tecnicamente morti per «incidente sul lavoro in itinere», anche loro invisibili fino alla drammatica morte e, purtroppo, anche dopo.

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