Francesco e i minatori «senza nome»
giovedì 18 gennaio 2018

Venerdì 19 gennaio, papa Francesco sarà a Puerto Maldonado, città a sud del Perù sulle sponde di Madre de Dios, un corso d’acqua proveniente dal versante est delle Ande e affluente del fiume Beni dopo un viaggio di oltre mille chilometri per la foresta amazzonica. Va a incontrare la Chiesa locale e le popolazioni dell’Amazzonia. Di vitale importanza per il clima globale e custode di biodiversità e altri valori inestimabili, la ricchezza dell’Amazzonia è anche causa del suo declino.

Dagli anni 60 del secolo scorso le imprese hanno potuto penetrare al suo interno, cominciando a portarsi via tutto ciò che desiderano. Fra esse, quelle minerarie ansiose di prendersi ferro, carbone, bauxite e molti altri minerali di cui il sottosuolo amazzonico era e continua a essere ricco. Così anche nella foresta attorno a Puerto Maldonado, con imprese estrattive attratte dalla presenza di oro. E se inizialmente l’interesse era limitato ai giacimenti a maggior concentrazione, col tempo emerse che il prezioso minerale si trovava diffuso in tutta l’area, e per recuperarlo bastava setacciare la zona. Un compito arduo e costoso, ma c’è un metodo per garantirsi i profitti e scaricare i costi sulle spalle di altri. E alla popolazione locale venne proposto di trasformarsi in cercatori d’oro con l’impegno a rivendere alle imprese proponenti tutto ciò che trovavano.

Nacque così la figura del 'minatore artigiano', imprenditore di se stesso che per mettere insieme qualche grammo di oro è disposto allo sfruttamento di se stesso e dei propri figli (il 20% dei cercatori d’oro sono minori). La notizia della nuova formula occupazionale si sparse per tutto il Perù, e Puerto Maldonado venne presa d’assalto da migliaia di persone attratte dalla fortuna dell’oro. La legge imporrebbe a ogni minatore di iscriversi in un apposito registro, ma si viene sconsigliati dal farlo, perché questo non conviene alle imprese estrattive. L’economia illegale è più vantaggiosa: si evade il fisco e si evita ogni altro obbligo sociale e ambientale richiesto dalla legge. In conclusione, a Puerto Maldonado si è strutturato un sistema di reclutamento in nero che impone ai malcapitati perfino di rinunciare al proprio nome. Per cancellare ogni traccia di sé, essi si fanno chiamare col soprannome imposto dal 'caporale': Smilzo, Cileno, Gatto Selvatico e qualsiasi altro nomignolo che la fantasia può partorire. Loro ci mettono il lavoro, l’organizzazione l’attrezzatura, le sostanze chimiche e quant’altro serve alla perlustrazione.

Padre Xavier Arbex, che da anni si dedica ai minatori irregolari, parla di condizioni indicibili non solo per gli orari estenuanti e per il rischio di malattie e infortuni, ma per la possibilità di perdere la vita stessa. Non pochi, infatti, scompaiono, inghiottiti dalla foresta, forse solo per avere minacciato di autodenunciarsi alle autorità competenti. Purtroppo al dramma sociale si aggiunge quello ambientale per lo sversamento nei fiumi e nel terreno di montagne di olio esausto usato dalle imbarcazioni, di montagne di mercurio usato per l’amalgama dell’oro, di montagne di detriti prodotti durante l’esplorazione: un paio di tonnellate, si calcola, per ogni grammo di oro. Ed è proprio la questione ambientale a generare sempre nuovi conflitti con le imprese minerarie non solo in Amazzonia, ma nell’intero Perù, considerato che l’attività estrattiva è diffusa in tutto il Paese.

Secondo produttore al mondo di argento, zinco, rame e sesto di oro, il Perù conta 50mila concessioni minerarie estese su 21 milioni di ettari, il 14% del suolo nazionale. Esse contribuiscono al 15% del prodotto interno lordo e al 60% delle esportazioni, ma il loro contributo all’occupazione è piuttosto modesto, mentre è alto l’impatto ambientale per l’avvelenamento delle acque con metalli pesanti e la contaminazione dell’aria con polveri sottili. Ogni anno si contano centinaia di conflitti e di proteste popolari contro le imprese minerarie non solo per gli attentati alla salute, ma anche per i contenziosi legati alla terra.

In un Paese in cui i titoli di proprietà sono aleatori, le imprese hanno buon gioco a produrre documenti artefatti che permettono di sottrarre abusivamente terra ai contadini. L’industria mineraria è in ripresa in tutta l’America Latina e quasi ovunque si registrano i contraccolpi di un’attività organizzata per il beneficio di pochi a danno di molti. Spesso gli unici a recepire il grido di dolore dei poveri sono gruppi ecclesiali, che per svolgere un’azione più incisiva a sostegno del ripristino dei diritti calpestati, si sono coordinati in una rete continentale denominata Red Iglesia y minéria. In vista della visita del Santo Padre, la Rete gli ha inviato una lunga lettera in cui riepiloga gli abusi sociali e ambientali sofferti dalla popolazione a causa dell’attività mineraria. La speramza è che la sua presenza e il suo magistero possano infondere senso di responsabilità nelle imprese e nei governi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI