Fatto l’Assegno, realizzare il Family Act
mercoledì 31 marzo 2021

A tre mesi tondi dalla data presunta del 'parto', il primo luglio 2021, il Parlamento ha definitivamente approvato la legge delega che darà i natali all’Assegno unico e universale per i figli a carico. La portata di questo nuovo strumento è nella sua semplicità. Addio agli assegni familiari per i soli dipendenti e pensionati, alle detrazioni fiscali per i figli a carico, ai bonus mamma e bebè, e via dicendo: l’Assegno spetterà a tutti i genitori, a prescindere dalla categoria alla quale appartengono e in parte anche dal reddito dichiarato.

Si tratta di una misura necessaria, ma allo stesso tempo non sufficiente. È necessaria perché da tempo si attendeva un passo che trasferisse alle famiglie e alle giovani coppie, anche pensando a chi è più fragile e ha lavori precari, l’idea di un Paese pronto a considerare tutti i figli un bene comune. Necessaria perché, anche se con troppi anni di ritardo, era importante incominciare ad avvicinarsi alle migliori pratiche in uso negli altri Paesi europei, dove l’inverno demografico non a caso si sta facendo sentire con minor violenza rispetto all’Italia. Ancor più necessaria in quanto, finora, le politiche per famiglia e figli sono state confuse con le politiche sociali, mentre un contributo economico con la caratteristica dell’universalità serve, nel suo piccolo, anche a incidere da un punto di vista culturale.

Purtroppo l’Assegno non sarà sufficiente a fare la rivoluzione. In primo luogo perché è noto che, arrivando ormai in una fase di declino avviato, è difficile riesca a incidere subito se l’obiettivo è assecondare i desideri di genitorialità e incentivare le nascite. In questo senso non gioca a favore l’aver stanziato 'solo' 6 miliardi annui aggiuntivi, poco più di quanto destinato al cashback di Stato, rispetto a quanto oggi già si destina in tanti rivoli per i figli. Per questo resta da sciogliere il nodo delle risorse da mettere in campo così da evitare che nella riorganizzazione dei sostegni qualcuno possa ricevere meno – e non si può non ammettere che i benefit per i figli, altrove, sono più elevati e più uniformi nell’erogazione. Non è sufficiente, infine, perché un piccolo contributo economico da solo potrà fare poco, mentre le buone pratiche per la natalità devono contemplare un mix di interventi capaci di affrontare la complessità dei problemi di una famiglia, guardando ai servizi, all’educazione dei bambini, all’armonizzazione dei tempi di vita e di lavoro, alle misure per le madri.

Il vero successo dell’Assegno è dunque strettamente legato a quanto verrà costruito dopo, da quante risorse saranno aggiunte – soprattutto se l’obiettivo sono i 250 euro al mese a figlio annunciati dal premier Draghi – e dalla rapidità con la quale saranno approvati gli altri interventi previsti dal Family Act, oltre che dalla loro consistenza. I passaggi che rimangono da compiere sono molti e non scontati. E tra questi va inserita la riforma fiscale. Guardando all’estero, dove si è intervenuti con convinzione, come in Germania, i risultati non si sono fatti attendere; quando invece si è deciso di operare risparmi sulla pelle delle famiglie, come negli ultimi tempi in Francia, il conto è arrivato in fretta.

Non si fanno figli per denaro. Ma l’impostazione culturale che ispira le formule più corrette ed efficaci di intervento per le famiglie in Europa è chiara: tutti i figli (e i loro genitori) sono destinatari di attenzioni e di sostegni cospicui, e questi aumentano nei casi di bisogno. In Italia per anni si è pensato al contrario, e la tentazione di ridurre questi benefici resiste in larghe fasce della società e della politica. È uno sguardo miope ed egoista, che le famiglie e l’intero Paese stanno pagando caro.

La riforma dell’Assegno unico e universale ha l’opportunità di invertire questa tendenza e di aprire una nuova stagione di equità. Che il cammino cominci davvero.

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