Familiari a carico, la soglia di reddito resta iniqua anche se ora è sdoppiata
martedì 4 maggio 2021

Caro direttore,
sono un’assidua lettrice e le scrivo a proposito della lettera del lettore Roberto Festa e della risposta che lei ha affidato al suo collega Massimo Calvi (“Avvenire” del 25 aprile 2021). Il tema è l’Assegno unico universale per i figli, di recente approvato in via definitiva dal Parlamento. Concordo sui benefici sottolineati. Tanto, però, rimane ancora da fare per la famiglia dal punto di vista fiscale anche per meglio attuare quanto previsto dalla Costituzione negli articoli 29, 30 e 31. È ancora e sempre ignorato il problema dei “familiari a carico”: resta infatti in vigore la norma fiscale che prevede che un familiare rimanga a carico del contribuente principale, con benefici previsti, solo se ha un reddito annuo complessivo lordo inferiore a 2.840 euro. È un limite che resiste inalterato, senza alcuna revisione, dal 1995. Ma come si può pensare che un componente (coniuge, figlio) possa essere autonomo e autosufficiente con un reddito annuo di quell’importo? È vero ci sono anche gli evasori fiscali, ed è vero che la coperta è sempre corta, ma l’ingiustizia e l’assurdità di quel limite sono di un’evidenza macroscopica. Possibile che né politici né media se ne rendano conto? Gradirei un suo parere in merito, direttore, perché “Avvenire” è sempre sensibile ai problemi della famiglia, anche a quelli fiscali.

Teresa Camporese Padova

Penso che lei, gentile signora Camporese, abbia messo il dito in una piaga aperta da tempo e non risanata nonostante un ancor recente intervento. Con la Legge di Bilancio approvata a dicembre 2018 dal governo Conte I, infatti, il limite per essere considerati familiari a carico è stato sdoppiato. Per i figli al di sotto dei 24 anni è stato aumentato fino a 4.000 euro annui, mentre oltre i 24 anni è rimasto invariato, fermo ai “vecchi” 2.840 euro. Problema risolto, ha detto qualcuno e pensato qualcun altro. E invece no. Proprio la scelta del limite di età a 24 anni ha finito per perpetuare l’ingiustizia, visto che proprio a quell’età i figli – sulla soglia della laurea magistrale alcuni, alle prese con stage e primi contratti a termine molti altri – sono ancora più bisognosi di sostegno economico. Perché si trovano in una sorta di limbo, nel quale i guadagni iniziali non permettono comunque una vita autonoma, ma superano facilmente un limite così basso (basta una collaborazione da appena 250 euro al mese!). E i loro genitori, in tale frangente, perdono anche quel poco di tutela fiscale per sostenerli e sostentarli. In questo senso la montagna di ingiustizia accumulatasi nell’ultimo quarto di secolo è rimasta intatta. Anche perché nel frattempo si sono moltiplicate le sentenze giudiziarie che stabiliscono che i figli (la condizione- tipo del “familiare a carico” è la loro, oltre che del coniuge in tante famiglie monoreddito) debbano essere sostenuti dai genitori sino a quando non conquistano un’effettiva indipendenza economica. Dunque: da una parte, si stabilisce un livello di reddito irrealistico per decretare l’indipendenza fiscale di un congiunto e, dall’altra, si ribadiscono criteri diametralmente opposti per sancirne la dipendenza economica con relativi oneri. Tutto questo è disorientante e iniquo. In questi anni, ho chiesto più volte ai miei colleghi esperti della materia di indagare, spiegare e rispiegare la questione che lei torna a sollevare e che sulle pagine di “Avvenire” è stata affrontata ciclicamente. Da ultimo, nel dicembre di tre anni fa. Lei, ora mi dà l’occasione per riprendere il tema ancora una volta e in prima persona. La ringrazio. E sottolineo di nuovo ciò che sulle nostre pagine abbiamo scritto spesso: il consenso vasto e trasversale che ha portato all’introduzione dell’Assegno unico universale per ogni figlio rappresenta un «primo passo» sulla strada decisiva eppure accidentata di un seria politica per la famiglia, basata su fisco amico e adeguati strumenti e servizi di sostegno. Solo un primo passo. Il problema irrisolto del “carico” dei familiari ne è la dimostrazione. E l’esitazione a dare concreto avvio all’Assegno ne è una ulteriore, deludente conferma: a quanto pare, infatti, nonostante il convinto impegno della ministra per la Famiglia Maria Elena Bonetti, al primo rinvio di sei mesi (da gennaio 2021 al prossimo luglio) sembra proprio che se ne stia aggiungendo un altro, al gennaio 2022. La volontà del presidente del Consiglio Mario Draghi di dar vita a una riforma armonica e complessiva del nostro sistema fiscale fa tuttavia sperare nell’apertura di un cantiere finalmente efficace. Bisognerà, però, che tutti i partiti della grande coalizione che sostiene l’attuale governo ammainino le bandierine delle proposte- slogan per lavorare insieme e secondo gli equi e lungimiranti criteri fissati dalla Costituzione. Non è affatto certo che accada. Ma proviamo a sperare che stavolta succeda, e succeda presto

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