Europa e clima far bene subito
martedì 14 giugno 2022

l voto del Parlamento Europeo sulle misure anti-gas serra, il cosiddetto pacchetto FitFor55, è preoccupante. Ancor più lo sono la strategia con il quale è stato preparato e i commenti del giorno dopo che sembrano ignorare il cuore del problema.

L’8 giugno scorso Assemblea ha approvato il bando dei motori a benzina e diesel entro il 2035, ma si è spaccata, rimandando, sul pacchetto complessivo che combina anche introduzione di una tassa di aggiustamento della CO2 alla frontiera (Cbam o Carbon Border Adjustment Mechanism) ed estensione del sistema dell’Ets (ovvero dei diritti a inquinare a pagamento) a settori sinora esenti.

Sono questioni su cui si gioca gran parte del nostro futuro. Proviamo a spiegare perché. Viviamo un’epoca attraversata da choc drammatici (guerra, pandemia) con caratteristiche che i mercati e le istituzioni nazionali riescono in qualche modo a gestire. Impennate dei prezzi segnalano il problema, e domanda e offerta reagiscono. Le istituzioni intervengono con ristori, sussidi e investimenti per compensare i perdenti. La questione del clima però è completamente diversa e molto più grave. Non si tratta di uno choc, ma di un peggioramento progressivo, che già oggi produce tanti choc a cascata (carestie, siccità, eventi climatici estremi, mobilità umana forzata), per il quale il meccanismo dei prezzi di mercato e l’intervento delle istituzioni nazionali non possono molto.

Il fattore che determina il riscaldamento globale (le emissioni di CO2) non è un bene privato con un prezzo di mercato, mentre la questione climatica nel suo insieme è un male pubblico globale. Ci sarebbe pertanto bisogno di un’autorità pubblica globale che sanzioni chi non rispetta i patti, ma non c’è e se questo o quel leader – come fece Donald Trump, da presidente Usa – decide di uscire dagli accordi di Parigi nessuno può fermarlo.

È per questo motivo che rischiamo di fare la fine della rana bollita in pentola, che non si accorge del pericolo. Ed è per questo motivo che negli Usa ben 3.623 economisti (tra i quali 28 premi Nobel), hanno approvato, con un consenso mai visto, un documento ( tinyurl.com/36krn3r2) che chiede di abbinare l’introduzione di un prezzo per la CO2 con un meccanismo di aggiustamento alla frontiera. Proprio come il Cbam che è il complemento fondamentale della carbon tax imposta ai produttori dei singoli Paesi. Fare, infatti, i primi della classe solo sul proprio territorio, imponendo costi maggiori a chi produce inquinando, rischia di spingere alla delocalizzazione o di rendere più competitivi produttori da Paesi terzi che non si fanno problemi su inquinamento ed emissioni.

La decisione europea sui motori a benzina e diesel sarà comunque un incentivo per il nostro sistema produttivo a una specializzazione più compatibile con la transizione ecologica, ma il resto del pacchetto rischia di non aiutare nella lotta all’inquinamento globale e può far perdere competitività all’eurosistema. Il meccanismo di aggiustamento alla frontiera è, infatti, utile e semplice.

Prevede che chi produce da Paesi terzi e vuole vendere nella Ue debba pagare i 'diritti a inquinare' che non ha pagato in patria e a cui sono sottoposti i produttori europei. In questo modo il vantaggio competitivo sleale ed ecologicamente insostenibile è colmato. Il Cbam è uno strumento fondamentale per superare i problemi di mancanza di un’autorità globale sul clima, perché in grado di inserire il principio della sostenibilità nel commercio internazionale.

È un sasso lanciato nello stagno che spingerà a un nuovo equilibrio, dove i Paesi terzi potranno beneficiare possibilmente di fondi di aggiustamento per la transizione con parte dei proventi fiscali raccolti dalla Ue. L’errore è stato di legare il Cbam all’estensione degli Ets ai settori sinora esenti. Cosa in linea di principio giusta, perché non puoi chiedere la tassa di confine se i produttori europei non pagano i diritti d’inquinamento.

L’effetto però è stato quello di coagulare le resistenze dei settori produttivi esenti che in un momento come questo non vogliono comprensibilmente aggravi dei costi. Per questo sarebbe stato molto meglio partire con una sperimentazione applicando il Cbam solo ai settori nei quali i produttori Ue pagano già oggi i diritti a inquinare. In questo modo si sarebbe separata la questione del Cbam da quella dell’estensione degli Ets ottenendo sicuramente maggiori consensi.

Chi scrive ha appena partecipato a un incontro con i maggiori produttori del settore lattiero- caseario italiano sulle rive del Po. Tutti hanno rilevato che mai a memoria d’uomo avevano visto un fiume così in secca e tutti sono molto preoccupati di cosa potrà succedere nei prossimi mesi estivi al mondo, ma anche alle loro coltivazioni. Siamo come la rana nell’acqua che bolle progressivamente. Ci vogliono meccanismi nuovi per spegnere il fuoco del fornello in modo socialmente sostenibile (ovvero senza ìnficiare la competitività delle imprese europee). Per questo dal meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera passa gran parte del nostro futuro.

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