mercoledì 19 ottobre 2022
Ora occorre puntare a un mix tra pubblico e privato, lasciare i prezzi amministrati e sganciare quelli del metano e della corrente puntando decisamente sulle rinnovabili
Un impianto di stoccaggio e distribuzione del gas vicino a Debogorze, in Polonia

Un impianto di stoccaggio e distribuzione del gas vicino a Debogorze, in Polonia - Reuters

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Nelle innumerevoli analisi sulla crisi dell’energia elettrica e del gas è rimasto stranamente sotto traccia un profilo che ha invece carattere centrale: il servizio della elettricità e del gas ha la natura di servizio pubblico. Si tratta di una nozione che non è priva di effetti concreti. Come è noto, una attività viene qualificata servizio pubblico quando soddisfa un interesse che l’ordinamento protegge; l’attività volta a soddisfarlo viene qualificata come doverosa, tanto che costituisce reato la sua interruzione. In alcuni casi chi ne usufruisce non è tenuto ad alcun pagamento (come per gran parte delle prestazioni sanitarie e scolastiche); in altri casi è tenuto a pagare una tassa (ad esempio un ticket o una tassa di iscrizione); in altre ancora, quando la prestazione richiede attività imprenditoriali, un prezzo, perché il rapporto assume carattere contrattuale, ma questo deve essere ragionevole e accessibile. Gli operatori non possono quindi conseguire il massimo utile ma solo una equa retribuzione del capitale e delle attività svolte.

Nella maggior parte dei Paesi europei furono dapprima i comuni, sempre più sensibili alle esigenze della popolazione, a creare aziende in grado di soddisfare i bisogni dell’energia elettrica. La rilevanza di questi bisogni è stata poi confermata e rafforzata dalle norme costituzionali in base alle quali costituiscono veri e propri diritti. Gli Stati hanno creato appositi enti pubblici per assicurare la prestazione dei servizi. In Italia prima l’Eni, poi l’Enel ne hanno garantito la fornitura agli utenti privati e alle imprese. I loro utili, contenuti, sono serviti anche a compensare attività diseconomiche svolte nell’interesse generale, come la costruzione delle reti e l’elettrificazione delle campagne che ne hanno ridotto lo spopolamento. Una parte significativa della ripresa dell’economia nazionale e poi del “miracolo economico” del Paese è stata resa possibile dalla disponibilità dell’energia a prezzi accessibili. Lo stesso fenomeno è avvenuto nelle altre nazioni europee, in ciascuna delle quali si sono creati quelli che si chiamavano “campioni nazionali” che hanno svolto questo compito nel loro Paese e si sono espansi anche all’estero.

Poi è arrivata la logica mercatista, fatta propria dall’Unione Europea, e quindi imposta agli Stati membri con l’obiettivo di creare un unico mercato europeo dell’energia e del gas. I “colossi nazionali” sono stati in varia misura privatizzati, il mercato è stato creato spezzettando il ciclo produttivo e di erogazione. Si è creata, in questo settore come in altri, una grande incertezza concettuale che ha portato a confondere i mezzi con i fini: il mercato, che è uno strumento di soddisfazione dei bisogni, è diventato l’obiettivo dell’azione dei pubblici poteri senza alcuna verifica concreta della sua idoneità a soddisfarli. L’Italia è stata fra le più zelanti in questa operazione fino ad andare contro gli interessi nazionali a favore degli interessi di altri Paesi. L’Autorità italiana della concorrenza, nell’errato presupposto che il mercato avesse dimensioni nazionali, ha impedito, ad esempio, alla AEM (la municipalizzata lombarda) di acquisire la Edison, con il risultato di consentire l’ingresso in Italia a EDF, il soggetto dominante in Francia, che è rimasto pubblico. L’Autorità italiana, appositamente creata per la regolazione del mercato elettrico nazionale, avrebbe anche il compito di garantire prezzi accessibili ma non riesce a farlo perché il prezzo si forma sull’operatore marginale (quello che ha i costi più elevati) e il prezzo marginale che viene preso in considerazione prescinde dalla diversità dei costi nelle differenti forme di produzione e quello della elettricità segue quello del gas, che si forma in modo fantasioso nella Borsa di Amsterdam. I cosiddetti extraprofitti non sono solo il frutto della speculazione ma, come è stato ben spiegato in questo giornale, sono l’effetto del sistema adottato.

Va preso atto che in questo settore l’ordinamento europeo non solo non ha raggiunto l’obiettivo di unificare i sistemi nazionali, ma ha sbagliato l’impostazione di fondo: non ha contraddetto il carattere di servizio pubblico di queste attività, anzi lo ha esplicitamente confermato anche nelle ultime direttive, ma è partito dall’assunto che di per sé il mercato sia in grado di garantire questi diritti. Va osservato, in via generale, che questa evenienza può anche verificarsi. Un esempio lo rende evidente: nessuno dubita del fatto che la disponibilità del pane a un prezzo accessibile corrisponda a un diritto, ma la conformazione del mercato (costo del grano, facilità della trasformazione, molteplicità di produttori e distributori) è tale che il mercato, salvo che in circostanze eccezionali, è in grado di garantirne la soddisfazione. La conseguenza è che le attività di produzione e vendita del pane non hanno il carattere della doverosità e non sono servizi pubblici. Nel caso della energia elettrica e del gas questo fenomeno non si verifica per una pluralità di circostanze (scarsità delle risorse, complessità dei processi di trasformazione, numero limitato degli operatori, dipendenza dall’estero). L’Europa ha progressivamente privato gli Stati della possibilità di soddisfare i diritti, indebolendo gli enti che li garantivano e disponendo la fine dei prezzi ammini-strati che, dopo varie proroghe, dovrebbero cessare nei prossimi mesi. Nel frattempo non è ancora riuscita a creare il mercato unico e non sono stati trasferiti all’Europa i poteri dei quali aveva privato gli Stati. Si è determinato così un vuoto nel quale il mercato ha avuto libero gioco con gli effetti che ciascuno può constatare. La guerra in Ucraina ha reso patologiche le disfunzioni già in atto. Alcuni hanno incominciato a constatare il fallimento del mercato (come D. Tabarelli, La Stampa del 6 ottobre e A. Debrégeas, Le Monde del 22 settembre, che arriva a sostenere che il mercato elettrico è “aberrant”) ma le misure che si stanno prospettando a livello europeo e nazionale sono volte a fronteggiare l’emergenza nel breve periodo, non escono dalla logica mercatista e non affrontano i problemi strutturali.

Nel lungo periodo la soluzione sta certamente nello sviluppo delle energie rinnovabili, che hanno il triplice vantaggio di salvaguardare l’ambiente, di diminuire la dipendenza dall’estero e di avere caratteristiche tecnologiche più accessibili (piccola dimensione, distribuzione territoriale), ma il processo per passare a queste fonti di produzione resta lento ed è probabilmente fondato il dubbio che possa essere del tutto alternativo agli attuali sistemi. Occorre quindi impostare una politica strutturale di riforma che non può consistere nel ritorno ai monopoli pubblici precedenti ma deve portare a un mix fra mercato e intervento pubblico. Le misure possono essere la seguenti: 1) mantenere i prezzi amministrati in alternativa a quelli liberi, come del resto è in Francia (la stessa Autorità di settore lo propone segnalando come i prezzi liberi sono stati superiori a quelli amministrati; 2) disarticolare i prezzi, separando quello del gas da quello dell’energia elettrica, come si è fatto in Spagna e Portogallo, e tenendo conto, anche per quest’ultimo, dei diversi costi di produzione; 3) non indebolire ulteriormente, e anzi rafforzare, quel che resta delle imprese pubbliche, anche perché la presenza di operatori pubblici potrebbe avere effetti calmieranti.

Nel frattempo, per non restare chiusi in un sistema solo nazionale che sarebbe inefficace perché inadeguato rispetto alle dimensioni del fenomeno, occorre rafforzare le strutture dell’Unione Europea, impostando la riforma del sistema che la Commissione ha promesso di varare nel 2023, e iniziando a costituire la rete unica europea e un acquirente unico che possa gestire da posizioni di forza le politiche degli acquisti, anche al di là della introduzione, nel breve periodo, di un price cap europeo. C’è da sperare, in conclusione, che la vicenda in atto contribuisca a spegnere gli ardori mercatisti e a promuovere politiche fondate sulle necessità delle persone.

Con la collaborazione di Eugenio Fidelbo

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