martedì 8 settembre 2020
Ambiente, economia e società sono ambiti interconnessi: serve una nuova sintesi tra sostenibilità, equità e inclusione con un’economia al servizio della persona
«Durante il ricovero per Covid ho capito la sfida ecologica»

Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

La pandemia che stiamo vivendo mette in discussione il nostro rapporto con la natura obbligandoci a nuove riflessioni in merito alla sfida globale della sostenibilità sulla quale, pur nella consapevolezza del ritardo, si riteneva di aver fissato il percorso e il perimetro d’azione. Questa pandemia ha reso maggiormente visibili i limiti e i paradossi della nostra società in cui tutto è interconnesso, le nostre sicurezze sono state infrante e il cambiamento ci interroga su come rinnovare e rinnovarci, posto che nulla sarà come prima. Per me, manager attivo nel settore ambientale, il paradigma dell’economia circolare ha rappresentato per lungo tempo la sfida, l’ambizione e la soluzione in grado di coniugare sviluppo economico e sostenibilità ambientale. L’escalation della pandemia a marzo 2020, vissuta in tutta la sua drammaticità da un letto di ospedale, mi ha consentito di vedere con occhi nuovi e con mutata sensibilità l’urgenza di perseguire un modello di sviluppo economico, non solo in grado di fare sintesi tra crescita e sostenibilità ambientale, ma anche di in grado di mettere al centro il valore della persona.

Il nuovo contesto internazionale che si è venuto a delineare in questi mesi stimola la ricerca di nuove soluzioni e ci interroga sul metodo che ci porterà a popolare i contenuti del progetto per un nuovo modello di sviluppo in cui ambiente, economia e società sono armonicamente interconnessi, attraverso una nuova sintesi tra sostenibilità, equità e inclusione, dove l’economia è al servizio dell’uomo per creare opportunità per tutti e non viceversa. Un modello dove viene superata la rassegnazione rispetto all’idea che la crescita e lo sviluppo possano avvenire solo mettendo in conto un prezzo sociale e ambientale da pagare. Un rinnovato modello in cui le decisioni del nostro tempo avvengano ponendo attenzione agli effetti che potrebbero causare alle generazioni future. È lo stesso papa Francesco che sottolinea questo aspetto nell’enciclica Laudato si’, quando dice che «non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni », e ancor prima Alcide De Gasperi quando sottolineava che la politica deve pensare non alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni. L’Europa è senza dubbio un punto di riferimento in questa sfida epocale, in cui in gioco c’è il futuro di tutti noi e delle generazioni che verranno dopo di noi.

Il 18 aprile 2018 il Parlamento europeo approvava il pacchetto “economia circolare” composto da quattro direttive che hanno tracciato la linea con l’auspicio che lo sviluppo economico possa essere sintesi di politiche industriali e tutele ambientale. Con queste direttive i Paesi dell’Unione hanno una bussola che indica una direzione virtuosa e condivisa, ma resta da definire il metodo da utilizzare come riferimento per costruire il progetto che ci porta alla meta. Anche su questo fronte è illuminante il pensiero di papa Francesco che, nella medesima Enciclica sopra citata, ci offre uno spunto metodologico di grande innovazione racchiuso nel concetto di «ecologia integrale». Dal momento che tutto è intimamente connesso e tutto è in relazione, anche i vari mondi culturali, i vari stakeholders chiamati ad identificare il progetto devono sapersi interconnettere, saper dialogare e interagire tra di loro. L’approccio alla complessità non può trovare sintesi innovativa se non in questo mutato contesto che nasce dalla consapevolezza che ambiente, economia e società sono parti integranti di uno stesso sistema che, come tale, richiedono letture e soluzioni integrali. La tematica ambientale non può disconoscere l’intima relazione tra la natura e la società che la abita, caratterizzata dal proprio modo di vivere, lavorare, produrre e consumare.

La protezione dell’ambiente deve pertanto essere parte integrante del processo di sviluppo e non essere considerata in maniera isolata o come rimedio alle conseguenze di scelte miopi. Per troppi decenni l’ambiente è stato considerato in antitesi allo sviluppo industriale e alla crescita economica e si è creduto che il progresso delle nostre società industrializzate potesse avvenire solo sacrificando le ragioni dell’ambiente. Dopo tanta perseverante miopia, oggi è dimostrato che il rispetto dell’ambiente è un primo fattore di competitività per le imprese, oltre che di benessere sociale. Abbiamo utilizzato le risorse naturali come se fossero infinite, dilapidando un patrimonio del pianeta già ormai negato alle generazioni future, per comprendere, con troppo ritardo, che l’uso efficiente delle risorse e l’utilizzo di energie rinnovabili in sostituzione di quelle fossili rappresentano un’avanguardia che ci restituisce benessere, prospettiva, giustizia ed equità. L’ecologia integrale è uno strumento che pone i presupposti per superare il principio di egemonia dell’uomo sui sistemi naturali, un approccio olistico che, se saprà diventare metodo, consentirà di affrancarci da un passato intriso di miopie e false convinzioni, nel quale per anni ci siamo compiaciuti di modelli rivelatesi poi fallimentari, in cui un obiettivo, quello economico, veniva raggiunto a scapito di tutti gli altri altrettanto importanti ed essenziali.

Se dunque l’ecologia integrale può considerarsi uno dei cardini del metodo da prendere a riferimento per raggiungere il traguardo dell’economia circolare, la Laudato si’ ci introduce un altro elemento utile a questa sfida: «Prendersi cura della casa comune». Il Papa ci richiama infatti alla responsabilità che ognuno di noi ha all’interno di un «piano d’azione» in cui tutti siamo parte, ciascuno con il proprio ruolo. L’invito ad essere “parte” consente di superare il concetto di “delega al leader politico di turno”, introducendo ulteriore complessità a beneficio di un risultato migliore. Sempre papa Francesco ci ricorda che: «Pretendere di risolvere tutte le difficoltà mediante normative uniformi o con interventi tecnici, porta a trascurare la complessità delle problematiche locali, che richiedono la partecipazione attiva degli abitanti. I nuovi processi in gestazione non possono sempre essere integrati entro modelli stabiliti dall’esterno, ma provenienti dalla stessa cultura locale». La partecipazione dal basso attraverso la voce dei territori e dei cittadini che vi abitano deve, pertanto, essere considerato un valore positivo riconosciuto e non più un intralcio istituzionale. Siamo di fronte a una rinnovata prospettiva, in cui il metodo e l’approccio possono fare la differenza e in cui tutti gli attori sono chiamati ad agire in prima persona.

La classe politica deve trovare il coraggio e il senso di responsabilità per guidare un progetto di lungo periodo e non di singolo mandato, adottando un approccio interdisciplinare e garantendo il coinvolgimento di numerosi interlocutori. Il mondo produttivo deve contribuire non in senso corporativo e difensivo, ma mettendo in campo i talenti che più gli sono propri come l’innovazione e l’intraprendenza. Il patrimonio delle aziende pubbliche locali deve essere parte trainante di questo progetto, essendo vocate, per loro natura, a gestire gli elementi primi di un’economia che vuole essere circolare come rifiuti, acqua, energia, trasporti. Il mondo della tecnica e dell’ingegneria devono, quindi, essere protagonisti di tale cambiamento, ma è necessario riscoprire il valore che a un tale progetto possono fornire altre importanti discipline più umanistiche, quali la filosofia, la sociologia, l’antropologia per la loro capacità di interpretare i fenomeni del nostro tempo e orientarci a un nuovo senso e prospettiva comuni.

Il mondo dell’Università e della ricerca deve contaminare con i suoi saperi questo progetto portando una visione d’insieme, innovazione e propensione alla sfida. Da ultimo, ma non meno importante, il progetto mancherebbe di credibilità se non fosse in grado di coinvolgere il mondo della scuola e delle giovani generazioni, di chi rappresenta la futura classe dirigente. Ne è un esempio il movimento di giovani e giovanissimi suscitato da Greta Thunberg che sta testimoniando la sofferenza per un’eredità e un futuro che gli è stato negato a causa degli errori perseverati per decenni dagli adulti e dalle istituzioni. Ora è il momento di dare ascolto alle loro istanze per condizionare le scelte verso una sostenibilità e una giustizia intergenerazionale. Se la drammaticità di questo momento storico saprà ispirarci questo “rinnovamento integrale” allora non avremo sofferto invano. Lo dobbiamo alle tante vittime di questa pandemia e lo dobbiamo ai nostri figli.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI