Distrazioni da indagare
venerdì 5 luglio 2019

Il nostro sistema di tutela dei minori in difficoltà è una strana e complessa macchina. Con tanti ingranaggi oliati alla perfezione che, soprattutto in alcune regioni, vanno a mille. E qualche altro ingranaggio che, in altre regioni, e non è solo una questione di latitudine, cigola, stride e spesso si ingrippa. Da una parte ci sono le famiglie fragili, quelle disgregate, quelle che non riescono più a occuparsi dei figli per povertà, malattia e tante altre ragioni. In mezzo amministrazioni locali, assistenti sociali, terapeuti, psicologi, consulenti, tribunali minorili. Dall’altra parte – e siamo nella parte finale – le circa tremila comunità che in modo improprio ci ostiniamo a definire "case famiglia". I luoghi dove cioè finiscono i circa 21mila minori costretti a vivere fuori dalle famiglie di origine. Ora, illudersi di poter risolvere i loro drammi partendo dalla parte finale del problema è una stravaganza che non capiterebbe in alcun Paese civile. È come chi pretendesse di migliorare la stabilità di un edificio mettendo mano alla geometria delle tegole. Eppure governo e maggioranza parlamentare esultano per l’avvio della procedura d’urgenza che permetterà di insediare in tempi rapidi una commissione d’inchiesta sulle attività delle case famiglia.

Si promettono massima trasparenza e controlli più severi per fare luce sui casi sospetti ed eliminare ogni irregolarità. Auspicio che naturalmente condividiamo. Anzi, che sollecitiamo con tutta la forza perché nulla è più insopportabile e odioso della criminalità che lucra sulla pelle dei minori senza famiglia o che vivono in situazioni di marginalità e di abbandono. Ma proprio perché l’obiettivo di questa complessa operazione è il benessere dei bambini, la loro dignità, la possibilità di preparare un futuro migliore di quanto la sorte abbia loro assegnato, occorre calibrare i passi e riflettere con attenzione prima di lanciarsi in battaglia contro i mulini a vento.

Bisognerebbe chiedersi, per esempio, se le norme che regolano il funzionamento delle comunità – "Linee di Indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni" approvate dalla Conferenza Stato regioni il 14 dicembre 2017 – siano ancora efficaci, con la loro minuziosa suddivisione in sette tipologie, o non richiedano un intervento di razionalizzazione. Ma, soprattutto, sarebbe necessario chiedersi se gli organismi che oggi hanno il compito di verificare le attività delle case famiglia – Aziende sanitarie e Procure minorili – dispongano di strumenti e risorse adeguate (umane ed economiche) per farlo in modo efficace e regolare.

Non è improbabile che in alcune aree del Paese, quelle che più hanno sofferto per il taglio del welfare, questi controlli siano diventati così sporadici da rendere impossibile capire chi tra le cosiddette case famiglia faccia egregiamente il proprio dovere e chi no. Prima di un’inchiesta parlamentare non sarebbe stato forse più saggio adoperarsi per rendere più efficiente e tempestiva la rete di controlli, già prevista dalle norme esistenti? E, ancora, sempre in via preliminare, non sarebbe forse utile interrogarsi sull’operato di coloro che si servono delle case famiglia? Proviamo a spiegarci. Se anche avessimo comunità d’accoglienza per minori efficientissime e con standard qualitativi eccelsi, conti in regola e personale preparatissimo, ma non facessimo nulla per capire perché i minori finiscono per approdare lì, avremmo fallito in partenza il nostro obiettivo. L’accelerazione impressa dal Governo all’inchiesta sulle 'case famiglia' nasce sull’onda emotiva dell’inchiesta di Reggio Emilia. Sdegno giusto e comprensibile ma, ancora una volta, reazione fuori bersaglio. Perché quei fatti terribili e obbrobriosi – se quanto accertato dalla Procura e dai Carabinieri verrà confermato – non c’entrano proprio nulla con le comunità d’accoglienza. Semmai andrebbe verificata l’efficacia e la congruenza delle norme che regolano l’attività di assistenza sociale. Di quei preziosi professionisti ai quali la legge assegna responsabilità gravose, ma anche la possibilità di decidere in pochi minuti se e come allontanare un bambino dai suoi genitori senza possibilità di opposizione o di contraddittorio. E, soprattutto, andrebbe fatta luce sull’intreccio non sempre trasparente tra consulenti, terapeuti e giudici onorari. Chi, poi, ha mai deciso di alzare il velo sui metodi di interpello di un minore dopo un sospetto abuso?

Esistono criteri per guidare la scelta di un terapeuta da parte del giudice, ben sapendo che c’è una potente scuola i cui esponenti praticano il metodo 'empatico' o del 'disvelamento progressivo' – Hansel e Gretel docet – quello che, come sta emergendo a Reggio Emilia, apre la strada al plagio dei minori? No, non esiste alcun criterio, ma questo è evidentemente un particolare ignoto a ministri e parlamentari. In ogni caso, i signori del Palazzo così lenti e distratti - da decenni e sino a oggi - nel dare risposte ai problemi veri della famiglia con figli possono dormire sonni tranquilli. Tra pochi anni, nell’Italia che non fa più figli, il problema dei minori fuori famiglia sarà risolto per via naturale. Non ce ne saranno più. E non ci sarà più bisogno di accendere riflettori e alzare polveroni sulle 'case famiglia'. Che non dovrebbero essere 'il' problema, 'la' priorità, ma un pezzetto della strada per risolverlo.

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