Difendere i confini dalle erbacce xenofobe
martedì 26 febbraio 2019

Una trasmissione su Radio3, qualche giorno fa, ricordando il centenario della nascita di Primo Levi, dava voce a Fabrizio Gifuni, che aveva letto brani delle sue opere in una commovente cerimonia svoltasi nel campo di internamento di Fossoli (dove Levi transitò prima di essere avviato ad Auschwitz). La conduttrice ha scelto di denunciare in diretta il fatto che giungessero vari messaggi violenti di italiani non proprio 'brava gente': «Si diceva 'Basta con questi ebrei'. Rispetto a qualche anno fa, un peggioramento. E questi sms arrivavano quando parlavamo di rom. Dunque, la platea dell’odio si allarga».

È questa la realtà di una parte dell’Italia di oggi. Sembra che gli episodi di xenofobia e di razzismo si siano velocemente moltiplicati. Sono di questi giorni le notizie relative alle scritte contro l’adozione di un senegalese a Melegnano, al pestaggio di un ragazzino di origine egiziana a Roma, al ferimento di un bambino rom di 11 anni alla stazione Termini («perché mi hanno rotto»), nonché all’assurdo 'esperimento sociale' messo in atto in una scuola di Foligno su un bambino di pelle più scura. Nemmeno la scuola, ormai, sembra del tutto immune dal virus del razzismo.

Anch’io voglio partire da Primo Levi. In una lettera recentemente pubblicata su 'la Stampa' in cui il giovane chimico, appena tornato in Italia, scriveva ai parenti per raccontare quanto aveva vissuto nel lager, Levi aggiungeva, descrivendo il suo impatto con la patria: «Il fascismo ha dimostrato di avere radici profonde, cambia nome e stile e metodi, ma non è morto». Non so se il fascismo è eterno, per riprendere il titolo di un intelligente pamphlet di Umberto Eco, ma certo è vivo e vegeto. Così come la xenofobia e il razzismo. Il problema è che abbiamo preferito non rendercene conto. Il fatto è che le pulsioni xenofobe, i comportamenti razzisti, si sposano bene con un tempo segnato dal vittimismo e dal rancore, in una stagione in cui sembra impossibile tessere legami con l’altro. Come se tanti dicessero: 'Il mondo di oggi non va bene, sento nostalgia di un passato più semplice, rivendico il diritto del fastidio verso questo o quello, anzi di gettare la colpa su di loro'.

Il nostro mondo di monadiimpaurite si è costruito un nuovo razzismo. Si grida: 'Io non posso, e comunque non voglio, essere insieme a lui, a lei, a loro'. Questa versione più moderna, apparentemente più accettabile, di un male antico, ha attecchito, si è fatta strada, è stata sdoganata a livello politico e mediatico e infine ha rotto gli argini. E allora le parole si fanno pietre. Il 'buonismo' è dipinto come un male. Tutto è scusabile perché si tratta di difendere i confini. Chissà, forse è davvero ora di 'difendere i confini'. Cioè di impedire che una cultura umanista antica di duemila anni venga messa all’angolo dai luoghi comuni e dalle pulsioni 'di pancia'. Di chiamare le erbacce della contrapposizione e del disprezzo, che abbiamo lasciato crescere indisturbate insieme agli alberi di una cultura umanista e solidale, roba infestante e dannosa. Se non faremo finta di niente e riconosceremo le radici profonde di un nuovo razzismo guardando con fermezza al male oscuro del-l’Italia di oggi potremo farcela. Non saremo soli nel difendere l’umanità. E, come suggerisce l’esperienza, le necessità economiche, professionali e di cura di un Paese che invecchia rapidamente, ci ricorderanno con la forza dei numeri e della realtà che non c’è nessuna salvezza possibile nell’esclusione, nell’autosufficienza, nel vittimismo. Abbiamo bisogno degli altri e gli altri saranno sempre diversi da noi. Qualche giorno fa ero alla presentazione de 'Il caso Kaufmann', il romanzo di Giovanni Grasso. Una storia vera e tragica, una storia di razzismo nella Germania delle leggi di Norimberga. Ebbene, la presentazione si svolgeva a Palazzo Barberini, sotto la volta dipinta da Pietro da Cortona, che raffigura 'Il trionfo della Divina Provvidenza'. Alzando gli occhi, si poteva vedere come, alla fine, il Furore è vinto dalla Mansuetudine e la Ragione prevale sulla Forza Bruta. Lavoriamo con la pazienza dell’artigiano di pace perché questo sia presto il destino italiano ed europeo.

Storico, presidente della Comunità di Sant’Egidio

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