martedì 5 novembre 2019
A confronto Massimo Nicolazzi, autore dell’Elogio del petrolio, e Gianni Silvestrini, direttore di Kyoto Club
La necessità è fermare l’inquinamento. La tecnologia spinge le rinnovabili ma gas e greggio sono ancora competitivi. Per una vera svolta green serve tempo

La necessità è fermare l’inquinamento. La tecnologia spinge le rinnovabili ma gas e greggio sono ancora competitivi. Per una vera svolta green serve tempo

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Il primo cambiamento climatico con cui abbiamo fatto i conti risale a diversi milioni di anni fa. La formazione della Great Rift Valley segnò la fine della foresta pluviale: fummo costretti a migrare. «Non eravamo ancora nati e già avevamo un problema di clima. Ma anche di energia…» La scelta di partire proprio da qui, per tessere 'L’elogio del Petrolio' (Feltrinelli, 2019), potrebbe collocare Massimo Nicolazzi tra i negazionisti alla Seitz & Singer. Invece, l’ex vicepresidente di Agip e Lukoil, ti spiazza, ammettendo che «il petrolio inquina, e molto ». Burlandosi di chi sostiene che il cambiamento climatico non è colpa nostra: «In Italia abbiamo la più alta concentrazione di scettici al mondo». Rispolverando la scommessa di Pascal: «Se non è colpa mia non posso fare nulla; se invece è colpa mia qualcosa posso fare. Nel dubbio, preferisco la seconda». Quest’economista dell’Università di Torino ci propone in realtà un’analisi darwinistica, tesa a dimostrare la centralità dell’energia nello schema evolutivo della società umana. Letteralmente, poiché si parte dal mammut. «Cacciare collettivamente ha condotto a una società egualitaria. Con l’agricoltura abbiamo scoperto il surplus ma la fonte dell’energia è rimasta il cibo, fino al petrolio e finché la rivoluzione industriale ha rimpiazzato il muscolo con la macchina » ha raccontato ad una recente assemblea di Limes Club Cisalpino di Novara. Nella quale è emerso che, anche tralasciando le divagazioni storiche, tipo Watt e Samuel Kier, che iniziò a raffinare il petrolio senza rendersi conto di cambiare la Storia, sulla questione si crea uno spartiacque tra numeri e politica: i primi 'elogiano' ancora il petrolio come la seconda non fa più.

Lettura che non convince, però, Giovanni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e QualEnergia, il quale invece non ha dubbi sul tramonto di questa nostra società bituminosa: «Le fonti rinnovabili – ci dice – sono inarrestabili perché sono diventate competitive nel processo di decarbonizzazione, necessario per far fronte alla crisi climatica; tant’è vero che il contenimento dei gas climalteranti orienta ormai tutti gli investimenti». È un fatto che le strategie europee siano volte ad azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050 e che il Piano nazionale per l’energia e il clima giuri di poter coprire nel 2030 il 55,4% dei consumi elettrici nostrani con le fonti rinnovabili. Anche i dati Unep vanno in questa direzione: gli investimenti globali nella elettricità verde, grande idroelettrico escluso, fanno boom. Il solare? In progressione. «È vero – ammette l’esperto di rinnovabili – che queste tecnologie contribuiscono solo per il 18 % ai consumi energetici mondiali, ma la situazione è in rapida evoluzione. Anche gli scenari della Shell indicano che la produzione da rinnovabili dal 2050 potrebbe superare quella del fossile».


Le dighe e le batterie al litio risolveranno il problema dello stoccaggio di energia prodotta da rinnovabili

Insomma, le posizioni sono e restano distanti. Non tanto sulla geopolitica – per Nicolazzi «dal 1860 al 1960, il petrolio è una storia americana», i Paesi arabi «non possono ricattare nessuno» e questo è «un mercato liquido nel quale la politica non può metter lo zampino» –, ma sulla sostenibilità economica della transizione energetica. In particolar modo sui suoi tempi. I due studiosi sono d’accordo sul fatto che il fossile inquina: gas, petrolio e carbone sono i principali responsabili dell’incremento in atmosfera di circa 2,5 parti per milione di CO2 all’anno; e quindi del riscaldamento in atto del pianeta. Nicolazzi ricorda però che la volatilità del mercato è solo parzialmente mitigabile dall’innovazione tecnologica, che il petrolio rappresenta ancora la fonte energetica più efficiente e che le riserve di idrocarburi sono tutt’altro che finite (negli ultimi vent’anni, anzi, sono cresciute del 50%), mentre Silvestrini obietta che larga parte delle riserve non si potranno usare se si vogliono rispettare gli obiettivi Cop21. È proprio su questo argomento che Nicolazzi scuote la testa: «siamo bravi – dice – a diminuire l’intensità energetica del Pil, cioè quanta energia consumiamo per ogni unità di ricchezza che consumiamo, ma non abbiamo mai consumato meno energia, se non quando siamo stati in recessione». I numeri attestano che per star dentro l’aumento di 1,5 gradi di temperatura, oltre a chiudere col carbone, dovremmo azzerare i consumi attuali di petrolio e gas. Sempre che si continui a produrre elettricità anche con il nucleare e si sviluppino intensamente le rinnovabili. Ad oggi, però, il 38% dell’energia elettrica è ancora generata dal carbone, esattamente come trent’anni fa, e per l’economista il nostro punto debole è nella minor densità di energia delle rinnovabili e nella loro intermittenza, che inducono a sovradimensionare la rete di trasporto e ad inventare sistemi di stoccaggio più efficienti. «Il driver del futuro – giura – non sarà la fonte energetica ma lo sviluppo di tecnologie di accumulo».

Silvestrini concorda, ma afferma che «la rivoluzione è già in arrivo», grazie alla rapida diffusione delle batterie al litio; un’evoluzione che si combinerà con la diffusione del fotovoltaico, che sta già ridisegnando il modo di produrre e distribuire questo tipo di energia. Non solo in Germania: «nel nostro Paese sono oltre 30mila i sistemi di accumulo installati grazie all’utilizzo delle detrazioni fiscali e alcuni bandi regionali; cresceranno notevolmente nei prossimi dieci anni. Inoltre, abbiamo ben 800mila impianti fotovoltaici», puntualizza il direttore scientifico di Kyoto Club, il quale guarda con fiducia al recepimento della direttiva europea sulle fonti rinnovabili, che darà un impulso alle comunità energetiche, mettendo tra l’altro in rete la produzione degli impianti condominiali. Quanto all’intermittenza, i difensori delle rinnovabili hanno dalla loro il rapido sviluppo dei sistemi di accumulo. Si lavora su centrali idroelettriche a ciclo chiuso che accumulano l’energia in eccesso prodotta dai campi eolici – quando non c’è richiesta di elettricità, si pompa acqua da valle e si 'ricarica' la diga –, per rilasciarla nei momenti di picco della domanda. Nel mondo, il 98% della capacità di stoccaggio si ottiene così e stanno nascendo anche enormi batterie al litio, al servizio di parchi fotovoltaici, come in Florida e Australia. I loro costi, documenta QualEnergia, sono in picchiata, tant’è che persino la competitività delle nuove centrali a gas, come ci segnala Silvestrini (citando un rapporto del Rocky Mountain Institute), verrà messa in discussione nel medio periodo.

La discussione si sposta dunque sui soldi. In questi anni, dichiara Nicolazzi, è stato dimostrato che gli investimenti fatti nella rete per gestire la complessità derivante dall’intermittenza devono essere ripagati dal consumatore e ciò crea un problema di consenso politico, tant’è vero che i generosi sussidi al fotovoltaico del passato pesano ancora sulla nostra bolletta. «Dobbiamo rassegnarci al fatto – spiega – che decarbonizzare significa aumentare il costo relativo dell’energia, dare sussidi alle rinnovabili e mettere tasse sul fossile». Silvestrini ribatte che i costi delle rinnovabili sono precipitati – un modulo solare costa un decimo – e che secondo l’Agenzia internazionale dell’energia in molte aree del mondo l’elettricità prodotta con solare ed eolico è già ora più conveniente anche di quella generata dalle nuove centrali a gas o carbone.


Le energie green contribuiscono solo per il 18% al rifornimento di energia globale mentre entro il 2050 dovrebbero superare le fonti fossili. Nicolazzi: l’innovazione tecnologica è lenta. Silvestrini: la rivoluzione è già in corso

Vista così, la transizione è una questione di tasse e incentivi. Non a caso, uno dei cavalli di battaglia del Green deal governativo sono i tagli ai sussidi inquinanti. Silvestrini ammette che «lo sforzo per arrivare a soddisfare con le rinnovabili tutti i consumi energetici impone comunque la riduzione dei consumi», cioè che «andranno rimessi in discussione gli stili di vita e riviste le regole di funzionamento del modello economico». Ecco perché c’è tanto interesse per le esenzioni ai carburanti fossili, che secondo Legambiente cubano quasi 19 miliardi all’anno. Il governo ci ha pensato e ripensato e ci pensa ancora, ma per Nicolazzi «una mancata defiscalizzazione si scaricherebbe sul prezzo alla pompa e comunque non c’è transizione senza costi aggiuntivi. A questo punto, è meglio puntare sulla carbon tax, a patto che poi si ridistribuiscano i soldi perché altrimenti ci troviamo con i gilet gialli in piazza». Punto su cui si può discutere, visto che anche Silvestrini è d’accordo sulla necessità di imporre la gabella sulle fonti fossili. Si deve «rivedere il nostro modello basato sulla crescita infinita», argomenta, anche se è proprio questa prospettiva che sembra non convincere le masse di consumatori che oggi tifano per Greta Thunberg. Insomma, per un Silvestrini fiducioso nelle giovani generazioni «che stanno cambiando la cultura e le abitudini dei loro genitori » c’è un Nicolazzi che commenta «avrei preferito scrivere l’elogio funebre del petrolio. Invece, tutto mi fa pensare che non vivrò abbastanza per farne a meno».

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