Cura urgente per la denatalità. A rischio è lo stato sociale
venerdì 24 luglio 2020

Caro direttore,

il recente rapporto annuale dell’Istat, pubblicato lo scorso 3 luglio, ha fornito una fotografia della situazione italiana alla luce dell’emergenza sanitaria prodotta dal coronavirus e degli effetti sociali ed economici che la pandemia sta determinando. Una grave criticità, segnalata con rilievo dal suo giornale, riguarda la significativa riduzione delle nascite che perdura da circa trent’anni ed è causata in primo luogo dal diminuito numero delle potenziali madri perché le numerose donne nate nel cosiddetto boom economico, tra i primi anni 60 e 70 del Novecento, stanno completando il loro ciclo riproduttivo. Le donne in età feconda che le stanno sostituendo sono molto meno numerose e, di conseguenza, non si prevede realisticamente un incremento della natalità. L’altro fattore rilevante che, negli ultimi anni, ha contribuito alla denatalità è stata la crisi economica che, iniziata nel 2007 negli Stati Uniti, si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. In Italia ha causato un significativo aumento della disoccupazione giovanile e della povertà assoluta, che riguarda soprattutto le famiglie con più figli e delle Regioni del Mezzogiorno. Come diretto effetto, molte giovani coppie hanno rinviato, e talora per sempre, il momento di avere un figlio. Il clima di incertezza e di paura associato all’insicurezza economica e all’aumento della povertà, indotto dall’attuale pandemia da coronavirus, potrebbe ulteriormente diminuire la natalità, che nel 2019 ha raggiunto, secondo l’’ultimo documento dell’Istat del 13 luglio 2020, i 420mila nati.

La denatalità è dovuta soprattutto alla diminuzione dei figli di genitori italiani. Gli stranieri residenti, pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione, hanno finora contribuito notevolmente a sostenere la natalità. Nel 2019 i nati da entrambi i genitori stranieri sono stati 63mila, il 15% di tutti i nati. Il numero è ancora maggiore considerando i nati da un solo cittadino straniero. Il rapporto dell’Istat prevede che, anche con il significativo contributo della dinamica migratoria, si riuscirà solo in parte ad arginare il declino demografico. Un altro fattore non trascurabile che contribuisce alla denatalità è legato a scelte di donne inserite nel mondo del lavoro che, per la realizzazione di progetti e aspettative di carriera, spesso rinviano l’età della procreazione. L’età media delle donne al parto, che in Italia è oggi di 32 anni, è tra le più elevate dei Paesi europei e ben il 9% delle nascite si ha in donne con più di 40 anni, molte delle quali per avere un figlio ricorrono a tecniche di procreazione medicalmente assistita.

La diminuzione della natalità si è associata negli ultimi decenni a un progressivo aumento dell’età media e nel 2065 dovrebbe raggiungere, secondo le previsioni dell’Istat, più di 86 anni negli uomini e di 90 anni per le donne. Inoltre nel 2019 ben 182 mila persone, gran parte giovani con elevata qualificazione professionale, hanno lasciato il nostro Paese per trasferirsi all’estero. Questo cambiamento demografico associato alla diminuzione della popolazione in età attiva (15-64 anni) è preoccupante e potrebbe mettere in profonda crisi nei prossimi anni il mantenimento del sistema di protezione sociale e del sistema previdenziale.

La denatalità in Italia è un problema molto più critico di altri Paesi europei e la causa è dovuta anche alla mancanza di efficaci e continuative politiche dirette al sostegno della famiglia. Una buona notizia è venuta proprio questa settimana dal primo sì alla Camera a larghissima maggioranza all’introduzione dell’assegno unico universale per ogni figlio. Ma le misure per aumentare la natalità dovrebbero comprendere tutta una serie di politiche socio-economiche in favore delle famiglie con figli e di interventi per aiutare il compito dei genitori. Bisognerebbe agevolare soprattutto le madri, ma anche i padri, nel conciliare il lavoro con la famiglia, mettendo a disposizione, a bassi costi, servizi per l’infanzia. Interventi organici e diretti all’incremento della natalità, dei quali si parla da tempo, come il Family Act, aiuterebbero molte coppie a realizzare il desiderio di avere più figli e potrebbero garantire il mantenimento nel nostro Paese di un’organizzazione sociale che rischia di non essere più sostenibile in un prossimo futuro se la politica non torna a pensare a una ripresa delle nascite.

Ordinario di Pediatria, Università di Roma La Sapienza, e direttore dell’Unità di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale, Policlinico Umberto I

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