Criminalizzare la solidarietà: il modello anti-Riace
giovedì 11 ottobre 2018

Nel luglio scorso la Corte Costituzionale francese con una storica sentenza ha cancellato il reato di solidarietà con i migranti. Ha argomentato che il principio di fraternità, posto alla base della costruzione repubblicana insieme alla libertà e all’uguaglianza, ha una preminenza sulle norme securitarie, scrivendo testualmente: «Dal principio di fraternità deriva la libertà di aiutare gli altri, a fini umanitari, indipendentemente dalla regolarità della loro permanenza nel territorio nazionale». In altre parole, fornire accoglienza e soccorso alle persone, benché prive di documenti idonei al soggiorno, non è reato. La sentenza francese ha sciolto un nodo assai controverso nell’attuale contesto politico e culturale.

L’indurimento delle politiche statuali, e spesso anche locali, origina un problema e un dilemma. Il problema consiste nella perdurante presenza sul territorio di persone che non hanno ottenuto un’autorizzazione, oppure l’hanno perduta: solo nella propaganda si può far credere che un decreto di espulsione produca automaticamente l’allontanamento di chi lo riceve. Il dilemma riguarda il trattamento delle necessità delle persone in questione, private della possibilità di lavorare regolarmente, di affittare un alloggio, di accedere alla maggior parte dei servizi pubblici.

Può una società democratica lasciare senza cibo o senza cure mediche o all'addiaccio delle persone per il fatto che non hanno in tasca un documento? Ed eventualmente questo sarebbe utile alla società? O nel caso di giovani donne si può consegnarle al mercato della prostituzione per la stessa ragione? La risposta al dilemma, in molti Paesi democratici, consiste nel tollerare e persino sostenere l’intervento di attori solidaristici (chiese, Ong, associazioni...) e di autorità pubbliche locali che si assumono il compito di rispondere ai bisogni di immigrati in difficoltà, indipendentemente dai loro titoli di soggiorno.

Oggi però l’enfasi politica sulla chiusura dei confini, in realtà soprattutto verso chi proviene dal Sud del mondo, sta investendo sempre più le attività di soccorso e aiuto ai migranti in condizione dubbia o irregolare: il favoreggiamento dell’immigrazione non autorizzata, nella visione sovranista, si allarga dalle attività lucrative a quelle solidali.

Negli Usa, il presidente Trump sta conducendo una battaglia politica contro le «città santuario» che assicurano svariati servizi a tutti gli immigrati; in Francia sono stati perseguiti dei cittadini che hanno dato un passaggio in auto, o accolto in casa o addirittura salvato da morte sul confine alpino migranti in transito; in Italia alcune autorità locali hanno vietato di distribuire cibo ai migranti o di mettere a disposizione degli immobili per l’accoglienza dei richiedenti asilo.

Il caso Lucano s’inquadra in questo contesto, e non si può evitare di collegarlo alle campagne politicogiudiziarie contro le Ong impegnate nei soccorsi in mare. Quelle campagne che tanto poco hanno finora prodotto in termini di riscontri processuali, ma hanno raggiunto lo scopo di far sparire le navi delle Ong dal Mediterraneo. Della disavventura del sindaco di Riace colpiscono tre aspetti. Il primo – se ne è già ragionato su queste pagine – è l’impegno profuso dalla Procura di Locri in una lunga inchiesta sull’accoglienza dei richiedenti asilo, nonostante le ingenti risorse ed energie necessarie alla lotta contro altri e ben più minacciosi fenomeni criminali assai radicati sul territorio. Il secondo è l’immediata caduta, già di fronte al Gip, delle accuse più gravi: dall’associazione per delinquere alla truffa ai danni dello Stato. Il terzo è la sproporzione tra i reati contestati e la misura cautelare degli arresti, sia pure domiciliari.

Il vero nodo del contendere è tuttavia proprio quello da cui abbiamo preso le mosse: il conflitto tra difesa dei confini e diritti umani, tra legalità e solidarietà, tra norme e giustizia. Non vale in proposito l’argomento benpensante secondo cui in un Paese democratico le leggi sarebbero inviolabili. Proprio nei Paesi democratici la violazione di alcune leggi per ragioni ideali può produrre innovazioni politiche e normative: basti pensare ai pionieri dell’obiezione di coscienza contro il servizio militare, che pagarono con il carcere la loro contestazione delle leggi vigenti. Si può allora paventare che la tempesta possa finire con il coinvolgere chi fornisce cibo, cure mediche, corsi di lingua, posti letto a immigrati e richiedenti asilo sprovvisti di idonei documenti. Chi oggi esercita forme di solidarietà attiva verso le componenti più deboli della popolazione straniera sappia che presto la carità potrebbe essere considerata eversiva.

Università di Milano e Cnel

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