martedì 4 ottobre 2016
Il senatore del Pd illustra le ragioni a favore della riforma costituzionale.
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La riforma ha e dà un equilibrio. L’Italicum può mutare così... Caro direttore, il referendum costituzionale è diventato un momento di confronto aspro. Le modifiche che aggiornano la seconda parte della Costituzione dovrebbero invece fondare un rapporto unitario tra forze politiche e di ritrovata fiducia con i cittadini, così da rendere le legittime differenze un arricchimento del pluralismo, senza contrapposizioni frontali.

È l’invito che ci viene anche dal presidente Mattarella: fare della campagna referendaria un confronto costruttivo, consapevoli che vi sarà un 'dopo' da gestire. Io voterò Sì, per una coerenza, che sento obbligata, con il voto in Parlamento che divenne positivo, dopo che non avevo votato il primo Ddl, per quattro modifiche rilevanti realizzate con l’impegno di tanti parlamentari: il cambiamento delle regole per l’elezione del presidente della Repubblica e di 5 giudici della Corte Costituzionale, sottratti al controllo 'proprietario' delle maggioranze di governo; la scelta da parte dei cittadini – e non più la negoziazione nei Consigli – dei consiglieri-senatori in concomitanza con le elezioni regionali; l’introduzione dei referendum propositivi e l’abbassamento del quorum per la validità di quello abrogativo.

È giusto, infatti, che solo la Camera dia la fiducia ai governi e che si riduca il numero dei parlamentari. Io avrei voluto una riduzione anche dei deputati: in ogni caso, questo è un primo passo. Chi voterà Sì conosce il progetto su cui esprimersi: le competenze del nuovo Senato, l’abolizione del Cnel, la trasformazione delle Province. Su Costituzione, referendum, trattati e rapporti con Unione Europea, Regioni e Autonomie locali rimarranno uguali le competenze di Camera e Senato.

A quest’ultimo verrà poi affidata una responsabilità che colma un deficit nel parlamentarismo italiano: il controllo delle politiche pubbliche, cioè la verifica dell’efficacia delle leggi, degli atti dei governi, dei fondi europei. In quanti sostengono il No vi sono posizioni assai diverse: chi rifiuta la riforma; chi ritiene che non si debba cambiare niente della Costituzione; chi in realtà vorrebbe smontarne la prima parte, quella dei valori, dei diritti e doveri di cittadinanza. Ciò che unifica le opposizioni è la lotta al governo.  

 Non ci sono 'tradimenti' dell’Ulivo. Basta leggere il programma del 1996, oppure quello dell’Unione e la cosiddetta 'Bozza Violante' approvata nel 2007. Né ha senso dire, contro la decisione della Corte Costituzionale, che questo Parlamento non sarebbe legittimato a fare le riforme. Del resto: la scelta definitiva spetta ai cittadini, i veri sovrani in democrazia. Nel caso di vittoria del Sì, dovremo assumerci l’impegno per approvare rapidamente la legge elettorale per il nuovo Senato, per cambiare quella per la Camera, per attuare i referendum.

Sono convinto che nell’Italicum vi siano difetti, tanto che in Parlamento non l’ho votato. Mi riferisco ai capilista bloccati e all’impossibilità di dar vita a coalizioni nel ballottaggio, finendo così per favorire alleanze nascoste in una lista. Per me l’opzione principale sono i collegi uninominali, fosse anche il cosiddetto Provincellum, e un secondo turno, qualora non si sia raggiunto subito il 40% dei consensi, magari aperto ai partiti che abbiano superato il 15/18% dei voti. Il Pd dovrebbe affidare ai suoi capigruppo un incarico per verificare la possibilità di un’intesa ampia su una legge elettorale che tenga meglio insieme rappresentanza e governabilità, evitando il moltiplicarsi di proposte che si annullano reciprocamente. 

 Un’ultima parola sul nostro Paese: evitiamo rotture sui terreni della bio-politica. Sulla legislazione che riguarda la vita, la salvaguardia della sua dignità, all’inizio e nel suo concludersi, stabiliamo un patto, non formalmente ma sostanzialmente di valore costituzionale: l’impegno ad ascoltare prima, attraverso i referendum di indirizzo, la voce dei cittadini; la ricerca di un voto qualificato per l’approvazione delle leggi di natura etica. Non si tratta di un limite per impedire la rapida efficacia della politica, bensì di una responsabilità consapevole che le scelte fondanti la nostra convivenza non possono essere affidate a semplificazioni unilaterali; richiedono convergenze ampie e processi di condivisione nella società. 

*Senatore del Pd e presidente della Commissione Politiche europee

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