Con tenacia disarmata
mercoledì 26 gennaio 2022

La pace, nel cuore orientale d’Europa, sembra in pericolo come mai era successo nei decenni recenti. E oggi, seguendo l’appello di papa Francesco a «tutte le persone di buona volontà perché elevino preghiere a Dio Onnipotente affinché ogni azione e iniziativa politica sia al servizio della fratellanza umana», la Chiesa si fa orante proprio per preservare la pace minacciata in Ucraina. Perché la risposta alle discordie non sia nelle armi.

La crisi, infatti, è grave e rischia di avvitarsi ulteriormente. L’Europa, che potrebbe avere un ruolo di mediazione tra Russia e Nato, appare disunita. I tre Paesi Baltici e la Polonia temono l’avanzata di Mosca e usano toni duri in ogni occasione, mentre gli altri partner continentali scelgono una linea di massima cautela. Stesse divisioni nell’incontro in video di quasi un’ora e mezza dell’altra sera tra Joe Biden e gli alleati. Si procede in ordine sparso: Gran Bretagna e Spagna rafforzano i contingenti nell’area, l’Italia mantiene le sue forze in teatro rispettando gli equilibri Nato disegnati prima dell’escalation. E tutti si trincerano dietro la parola magica «diplomazia» che deve prevalere sulle armi. Ma di passi avanti se ne fanno pochi.

Alcuni analisti sostengono che a Biden e a Boris Johnson, entrambi alle prese con crisi interne «rilevanti», mantenere alta la tensione serva a distogliere lo sguardo dalle difficoltà domestiche. E si fa notare che la soluzione della Casa Bianca per supplire a un eventuale blocco delle forniture di gas dalla Russia sarebbe poco plausibile: il presidente Usa ha infatti identificato in Arabia Saudita e Qatar i soccorritori energetici dell’Europa. Due interlocutori poco graditi a numerose cancellerie europee.

Poi c’è il “caso Germania”, dove pesa l’eredità che la 'diplomatica' Angela Merkel ha lasciato al suo successore socialdemocratico Olaf Scholz: il gasdotto North Stream2, costruito in una sorta di joint venture con Vladimir Putin.

Tutti questi elementi creano una situazione ancora più instabile. Nel confronto tra Russia e Nato, le tensioni sono accresciute dal posizionamento di truppe di Mosca in punti nodali al confine svedese, ucraino e polacco. Ma l’aggressività di Putin si scontra con una constatazione: ogni giorno di guerra e di invasione dell’Ucraina costerebbe alla Russia milioni di dollari (dieci volte più dei soldi già spesi per mantenere l’'assedio'). E mai come adesso le aspirazioni non corrispondono alle disponibilità. Certo, il Cremlino non è ancora in “rosso”, ma quel gioco che si chiama globalizzazione lo tiene in ostaggio. Sta usando anche truppe private nei conflitti per procura in Africa e America Latina. Putin ha poi un rivale-amico (per convenienza e in chiave anti-Usa) nella Cina di Xi Jinping. E questa amicizia costa, perché mai i cinesi regalano qualcosa.

Sull’altro fronte c’è Joe Biden, al minimo della popolarità e al massimo del desiderio di dimostrare il peso di Washington. Ironia della sorte, la partita si gioca ancora una volta lontano da casa, lontano da quell’America che gli esprime solo il 40% dei consensi e a 7mila chilometri da Kiev. Per un uomo che aveva fatto della politica del disimpegno nel Vecchio Continente uno dei punti chiave della strategia anticinese (per reperire truppe e ridistribuire risorse), tutto questo rischia di essere un boomerang. Insomma: (al di là delle ragioni morali) sembra che una guerra oggi non convenga a nessuno.

Ma va evitato che i contendenti si trovino a combatterla solo e cinicamente per salvarsi la faccia. Per questo, la disarmata diplomazia di papa Francesco affianca, anche con la preghiera, gli sforzi di chi lavora per far tornare indietro le lancette dell’orologio dell’Apocalisse.

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