Colpo al debito in ogni modo
venerdì 26 febbraio 2021

L’appello di più di cento economisti europei sulla cancellazione del debito ha avuto il pregio di stimolare il dibattito sulle politiche della Banca centrale europea suscitando molte reazioni, alcune favorevoli altre critiche. Proprio come la riflessione su tale prospettiva che chi scrive ha sviluppato su queste pagine a partire dal 15 ottobre scorso. Ed esattamente come la scossa impressa dall’argomentata presa di posizione favorevole a questa scelta del presidente del Parlamento europeo David Sassoli.

Ma la parola 'cancellazione' non deve sorprendere o scandalizzare. In un recente lavoro con Pasquale Scaramozzino (https://www.cefims.ac.uk/research/papers/DP160/) spieghiamo come stiamo vivendo de facto una 'quasicancellazione' di una quota rilevante del debito con l’attuale politica della Bce di acquisto di titoli pubblici degli Stati membri, impegno non dichiarato a riacquistare nuovi titoli a scadenza e retrocessione dei guadagni da interesse ai Paesi membri. Ebbene se qualcuno presta soldi impegnandosi a riprestarli quando scadrà il debito e restituendo gli interessi di fatto quel debito è come se non ci fosse.

Il tema più generale dietro la cancellazione è dunque quello dell’attivismo delle Banche centrali. Nel lavoro appena richiamato, delineiamo un menu di sette diverse proposte per un possibile maggior 'attivismo' della Bce. Il tema del dibattito sottostante è infatti se la Bce sta facendo abbastanza oppure no in un contesto di concorrenza tra le stesse Banche centrali in materia. Fermo restando il necessario impegno da parte italiana e degli altri Stati membri della Ue a fare 'debito buono' aumentando produttività e crescita sostenibile (impegno a cui la reputazione del nuovo premier Draghi e l’operato del nuovo governo possono dare un impulso formidabile), se l’attivismo della Bce è insufficiente il risultato è un tasso di cambio sopravvalutato, inflazione al di sotto del target del 2% che aumenta il debito, stimolo insufficiente alla ripresa economica e riduzione degli incentivi agli investimenti e alla ripartenza, oltre che un fardello sempre più pesante sulle generazioni future. Per questo l’attivismo della Bce può e deve essere aumentato, e un obiettivo minimo potrebbe essere quello di accrescere la politica di acquisto di titoli e dunque di quasi-cancellazione, se non si intendono adottare misure più profonde.

Una prima obiezione (valida per forme più radicali di cancellazione) è che la Bce non avrebbe più a disposizione munizioni sufficienti per le proprie politiche antiinflazionistiche. In caso di pericolo d’inflazione, infatti, la Bce con le manovre di mercato aperto vende i propri titoli e assorbe moneta. La cancellazione ridurrebbe lo stock di titoli da vendere. La

Bce ha in realtà molti strumenti a disposizione per intervenire quali le politiche sui tassi e sulla percentuale di riserve obbligatorie. Lo stock di titoli è inoltre talmente elevato (superando i 3694 miliardi di euro nell’ultimo bilancio 2020 appena uscito) che le munizioni sarebbero comunque abbondanti anche in caso di parziale cancellazione. Se però questa fosse la preoccupazione dominante allora, tra le sette ipotesi d’intervento di cui sopra, la mossa migliore sarebbe quella di accumulare una quota maggiore di titoli dei Paesi membri, aumentando la quasi cancellazione e avendo un potenziale accresciuto di munizioni a disposizione per le politiche anti-inflazionistiche.

La seconda critica è che cancellazione o maggiore attivismo della Bce rendono i Paesi membri più lassisti e più inclini allo spreco. Si tratta di un argomento 'moralmente primitivo' che equivale a dire che legarsi le mani sia l’unico strumento che abbiamo a disposizione per controllare impulsi socialmente dannosi.

Next Generation Eu è un esempio di come le risorse agli Stati possono aumentare sotto regole di condizionalità che obbligano a fare 'debito buono' e a un uso virtuoso della spesa (appena approvato il regolamento Ue sui criteri dei voti ai Piani nazionali, che prevedono la sospensione dei fondi in caso di bocciatura). Una terza critica di carattere contabile è che con la cancellazione la Bce rischierebbe di avere un patrimonio netto negativo.

Tralasciando per un attimo il fatto che le Banche centrali non possono fallire contabilmente (ma solo de facto in caso di iper-inflazione e crollo del cambio), che il valore attuale netto dell’attivo va aumentato con il valore dei guadagni futuri attesi da signoraggio, dovremmo anche iniziare ad aggiornare convenzioni contabili che ancora considerano le banconote in circolazione (più 1434 miliardi di euro) passività della Bce, un retaggio dei tempi della convertibilità in oro che oggi non è più giustificato come sottolineato dalla letteratura più recente in materia e dalla realtà dei fatti. Un’ultima obiezione di carattere politico è che discutere la politica della Bce offre spazio al populismo e all’anti-europeismo.

La storia insegna che è vero esattamente il contrario. Nell’ottobre 2014, ancora su questo giornale, lanciammo un appello firmato da 340 colleghi economisti per il quantitative easing, poi effettivamente e utilmente utilizzato. In seguito, abbiamo chiesto l’emissione di obbligazioni comuni Ue, adesso arrivata assieme al Next Generation Eu. Non è un caso che dopo questa svolta la quota di italiani favorevoli alla Ue è passata da una minoranza del 40% a circa tre quarti dell’opinione pubblica. Sono queste due decisioni, stimolate dal dibattito e non il silenzio sulle possibilità di progresso delle politiche della Banca centrale, che hanno diradato le nubi del populismo e dell’anti-europeismo.

Spazi ulteriori di azione sono resi possibili proprio dalla scala e dalla reputazione della Bce: esse consentono spazi di manovra superiori a qualunque eventuale Banca centrale nazionale. Siamo e restiamo tenacemente europeisti, per questo riteniamo sia giusto discutere di ulteriori progressi vantaggiosi per tutti e soprattutto per le giovani generazioni, che hanno pagato e stanno pagando un prezzo altissimo alla pandemia.

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