mercoledì 1 dicembre 2021
Una crisi sanitaria tra le più serie del continente si unisce alle violenze di gruppi jihadisti, alla fame, alla lotta per il controllo delle risorse naturali. L’avanzata della Cina
Nel Paese dell’Africa centrale le emergenze sono continue

Nel Paese dell’Africa centrale le emergenze sono continue - Ansa

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Esiste un’emergenza silenziosa in un posto della Terra formalmente non in guerra: la Repubblica Democratica del Congo. Qui, nel quasi totale silenzio della politica mondiale, si sta consumando un’emergenza umanitaria di livelli spaventosi, mescolandosi, zona per zona, a una profonda insicurezza dei territori a Est del Paese, che rimangono preda di violenti gruppi armati, cioè bande locali legate al controllo di un territorio che è in realtà veramente fuori controllo. Attualmente, in diverse regioni del Congo, è in vigore il coprifuoco emergenziale per la preoccupante questione sanitaria che coinvolge tutta l’Africa centrale, ma anche per le violenze di gruppi jihadisti e filo ruandesi. Ad essere onesti, le regole sono decisamente blande e inosservate. Quel che davvero emerge agli occhi di chi si reca sul posto, un po’ meno agli occhi assuefatti e disillusi degli abitanti, è la violenza delle milizie più strutturate delle singole bande territoriali, spesso sostenute da potenti e velati interessi esteri. La loro violenza, priva di ogni scrupolo, si manifesta in molti modi, ma le vittime principali di questo delirio della forza sono le giovani donne, che – con sotterfugi e un po’ di fortuna – dopo gli stupri riescono a rivolgersi alle organizzazioni umanitarie per delle visite ginecologiche.

La terribile crisi alimentare. Quasi 7 milioni di persone, cioè circa il 25% della popolazione nazionale che è di 27,3 milioni, vivono in uno stato di insicurezza alimentare. Cifre che dicono poco rispetto alla tragedia delle singole vite congolesi. L’ultimo allarme è stato lanciato prima dell’estate dalle Nazioni Unite insieme all’Organizzazione mondiale per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). In Congo la fame è una condizione cronica da anni, a cui il resto del mondo pare essersi assuefatto. Nella Repubblica Democratica del Congo, da decenni, si verifica una crisi umanitaria, che viene definita “diffusa” dagli analisti geopolitici, perché i conflitti armati si amalgamano rovinosamente ai disastri naturali, alle epidemie costanti e alla scarsità di cibo, che è una delle maggiori cause di morte di bambini e anziani (le condizioni di vita, in realtà, rendono anziani già dopo i quarant’anni). Sebbene il tasso di povertà del più grande paese dell’Africa subsahariana sia un po’ diminuito negli ultimi vent’anni, in particolare nelle aree rurali, il Congo rimane una delle aree più povere del mondo, con la questione della fame radicata, senza apparente possibilità di soluzione. Alcune Ong hanno avviato un progetto di consegna di pane e latte in zone estremamente remote, escluse dagli aiuti per inaccessibilità del territorio. Come arrivare a queste persone? A piedi. Un cammino solidale di chilometri e chilometri lungo la strada sterrata e la palude per portare sacchi di cibo necessario.


Negli ultimi 3 anni, nelle regioni orientali si stanno verificando migrazioni di massa a seguito di atti violenti di guerriglia ad opera di gruppi eteroguidati da interessi stranieri

Questione vaccinale: insieme alla Tanzania, una delle peggiori. La Repubblica dell’Africa centrale ha finora vaccinato solo il 7% della sua popolazione contro il Covid-19. Per le autorità sanitarie di questo vasto Paese, il secondo meno sviluppato al mondo, la sfida è sia ottenere il vaccino sia convincere la gente della sua necessità. La risposta del Congo alla pandemia ha sofferto, ancora una volta, della cattiva gestione governativa. «Morbillo, colera, ebola: il Congo stava già affrontando molteplici epidemie quando ha registrato il suo primo caso di Covid, il 10 marzo 2020»: così è scritto in un rapporto ufficiale del Congo Research Group, un’organizzazione con sede presso la New York University. «Il suo sistema sanitario, carente e sotto finanziato, proprio come quello della Tanzania, ha lottato in parte per contenere il nuovo virus, ma senza un significativo sostegno internazionale. I medici volontari ricordavano i terribili giorni della diffusione di ebola, ma da soli non potevano farcela», si legge anche questo nel rapporto, in particolare al paragrafo “Ripensare le pandemie nell’Africa centrale”. Il dossier ha altresì delineato l’esistenza di strutture ad hoc che il governo congolese ha istituito in risposta alla pandemia, che comprendevano un 'comitato multisettoriale', una 'segreteria tecnica', un consiglio consultivo, una task force e un fondo nazionale di solidarietà contro il coronavirus. Come si legge in quelle pagine poco divulgate – le nuove strutture «non risolvono i problemi della cattiva gestione delle risorse finanziarie. Le agenzie internazionali dovrebbero agire più incisivamente, monitorando poi i risultati».


Quasi 7 milioni di persone, circa il 25% della popolazione che è di 27,3 milioni, vivono in uno stato continuo di insicurezza alimentare

Le risorse naturali: più una condanna che un vantaggio. L’intervento umanitario in luoghi come questo diventa essenziale, anche per l’assetto di tutto il territorio centroafricano. Negli ultimi 3 anni, nelle regioni orientali, ad esempio, si stanno verificando migrazioni di massa a seguito di atti violenti di guerriglia ad opera di gruppi jihadisti in realtà eteroguidati da interessi stranieri, Cina e Turchia in primis, sui giacimenti di terre rare, coltan, oro. Si è in continuo movimento alla perenne ricerca di un luogo più sicuro di quello abbandonato. La regione di Fizi, verso l’Uganda e il Ruanda, e Uvira, grande città sul lago di Tanganica, con un altrettanto grande porto, è stata afflitta da continue tensioni, anche a causa del controllo delle risorse del sottosuolo. La situazione è di gran lunga peggiore nell’area di Butembo- Beni, in Nord Kivu. Qui non mancano gli assalti per il controllo del cobalto, miniera dove peraltro lavorano i bambini. Piccoli, anche di sei e sette anni, morti per incrementare il mercato congolese nella corsa alle forniture di cobalto, utile per le batterie al litio, e in generale per i veicoli elettrici. Gli ultimi assalti di novembre, proprio a causa di queste ricchezze naturali, ci sono stati nel Parco nazionale di Virunga, patrimonio mondiale dell’Unesco, che ospita anche gorilla di montagna in via di estinzione, in particolare nell’area di Mikeno.

Gli affari cinesi a Kinshasa. Il petrolio, i diamanti, l’oro e il cobalto sono una tragedia per la vita dei congolesi. Tutti questi elementi, indispensabili componenti della decarbonizzazione, stroncano le vite di molti, originando affari selvaggi. Il Congo è stato per lungo tempo in cima ai dossier delle maggiori potenze globali in virtù della sua posizione strategica nel continente. Il Paese è appartenuto alla sfera d’influenza occidentale ed è rimasto, a più riprese, un componente fondamentale dell’economia internazionale, passando dal produrre gomma all’esportazione dell’uranio, necessario per la produzione delle prime bombe atomiche. Divenuto indipendente nel ‘60, si trovò al centro di un sanguinoso scontro tra Stati Uniti ed Unione Sovietica. Furono gli Usa a vincere la partita, instaurando il regime del generale Joseph-Désiré Mobutu. Ad oggi esiste uno spregiudicato consorzio di società statali cinesi che hanno firmato un accordo per diritti di estrazione di 10 milioni di tonnellate di rame e 600 mila tonnellate di cobalto durante un periodo di 25 anni, per un valore complessivo tra i 40 e gli 84 miliardi di dollari. In cambio la Cina si sarebbe impegnata ad investire oltre 6 miliardi di dollari nel miglioramento delle tecniche estrattive. Il progetto, che venne subito definito 'l’accordo del secolo', avrebbe dovuto portare un’ondata di benessere nel Congo. Ad oggi si registra solo sfruttamento, con capitali che vanno esclusivamente all’estero, lasciando la popolazione spesso persino senza energia elettrica.

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