Chiesa in Cina, unità e il bene essenziale
martedì 25 maggio 2021

Spesso le notizie che vengono dalla Cina non sono belle, a volte sono proprio tristi. Qualche giorno fa, come ha riferito questo giornale, un vescovo e sette sacerdoti clandestini sono stati arrestati a Xinxiang per aver aperto senza permessi un seminario minore. La libertà religiosa in Cina non c’è (e a Hong Kong è in forse). Non è una novità, purtroppo, ed è questo il motivo per cui nel 2018 la Santa Sede ha firmato un Accordo con la Repubblica popolare cinese e nel 2020 l’ha rinnovato. Come ha spiegato il cardinale John Tong si è cercato di ottenere non tutta la libertà religiosa possibile, ma una parte essenziale di tale libertà. Ora padre Stefano Chow Sau-yan – nuovo vescovo designato di Hong Kong: sarà ordinato il prossimo 4 dicembre – ha detto che i cattolici della città sono uniti nel chiedere la libertà religiosa, ma che non bisogna considerare la Cina un nemico. Ciò significa separare gli obiettivi della Chiesa in Cina da quelli della politica internazionale nei confronti di questo Paese.

È ciò che ha fatto papa Francesco, resistendo alle pressioni di quanti – in funzione anticinese – volevano che non approvasse la proroga dell’Accordo. Lo ha guidato l’obiettivo prioritario di diffondere il Vangelo presso questo grande popolo. «Vi invito ad accompagnare con fervida preghiera i fedeli cristiani in Cina, nostri carissimi fratelli e sorelle, che tengo nel profondo del mio cuore», ha detto il Papa il giorno di Pentecoste.

E ha aggiunto: «Lo Spirito Santo, protagonista della missione della Chiesa nel mondo, li guidi e li aiuti a essere portatori del lieto annuncio, testimoni di bontà e di carità, e costruttori nella loro patria di giustizia e di pace». In molte situazioni storiche i cristiani hanno svolto la missione di annunciare il Vangelo senza beneficiare – in tutto o in parte – della libertà religiosa. Ma non per questo hanno smesso di evangelizzare e, ogni volta, hanno cercato le vie per continuare nella loro opera. Due sono i motivi per cui il vescovo e i sacerdoti di Xinxiang sono stati arrestati: perché sono clandestini e perché è proibito fare attività religiosa con i minori di 18 anni. Hanno cioè infranto due regole in vigore da tempo nella Repubblica popolare cinese, di cui non sempre si è preteso la piena osservanza e che ora invece vengono applicate con più rigore di altri momenti. Una qualche tolleranza si registra ancora per la regola che vieta l’istruzione religiosa ai minori: attualmente in Cina risultano autorizzati sei seminari minori, di cui quattro in funzione, a Xingtai (Zhaozhuang), Hengshui, Xi’an, Shanghai-Tailaiqiao.

Ma di sicuro questa tolleranza non c’è se si tratta di comunità cattoliche clandestine. Uno dei principali problemi che si pone oggi alla Chiesa in Cina, perciò, è se e come è possibile per i vescovi ancora clandestini uscire da tale condizione. Su questo terreno, molte cose sono cambiate. Già dal 2007 papa Benedetto XVI ha affermato il principio che la clandestinità non è una condizione normale nella vita della Chiesa. Nel 2018, tutti i vescovi sono tornati alla piena comunione con il Papa e l’Accordo ha messo fine alle ordinazioni illegittime: è venuto meno, cioè, il motivo fondamentale della divisione tra 'clandestini' e 'patriottici' e cioè la fedeltà al Papa dei primi e non dei secondi. Nel 2019 la Santa Sede ha poi emanato gli Orientamenti pastorali circa la registrazione civile del clero in Cina per risolvere i problemi che, dal punto di vista cattolico, ostacolavano tale riconoscimento.

Perché allora alcuni vescovi sono ancora clandestini? Anche se poche, quasi tutte le situazioni in cui questi si trovano sono molto complesse. In alcuni casi, il vescovo ha chiesto il riconoscimento, ma la richiesta non è stata accolta perché a non essere riconosciuta è la loro diocesi (in quanto non si tratta propriamente di una diocesi, ma di una prefettura apostolica secondo la vecchia ripartizione missionaria) o per altri motivi. In altre situazioni, invece, sono i clandestini a non volere il riconoscimento. Pesa su di loro una lunga storia di sofferenze e di scontri e le loro resistenze appaiono umanamente comprensibili.

Il bene della Chiesa, anche in Cina, chiede tuttavia di camminare nel segno dell’unità sulla non semplice strada indicata dal Papa (fortunatamente, alcune notizie di conflitti tra clandestini e patriottici sono gonfiate ad arte, come nel recente caso di Xuanhua). E nella prospettiva dell’evangelizzazione farsi riconoscere permetterebbe ai vescovi e sacerdoti clandestini maggiori possibilità di annunciare il Vangelo. Gli Orientamenti della Santa Sede non forzano nessuno a chiedere il riconoscimento, ma la causa dell’evangelizzazione della Cina passa per questa scelta.

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