martedì 29 ottobre 2019
L’anticipo pensionistico è servito alle imprese per alleggerirsi di esuberi impliciti. È stata una scelta molto costosa, ma cancellarla ora avrebbe un costo sociale e politico ancora più alto
«Chi ha beneficiato di "Quota 100"?». Non i giovani...
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Gentile direttore,
anche in previsione dell’approvazione della legge di bilancio per il 2020, prosegue da settimane il dibattito sull’opportunità di aver introdotto con la manovra dello scorso anno Quota 100 e il limite minimo di 62 anni per poter accedere alla pensione anticipata. Si fanno i conti su quanti lavoratori dipendenti ne abbiano fatto richiesta e su quanti presentassero i requisiti. E alla luce della ristretta platea di coloro che ne beneficiano, attualmente circa 120mila persone, partono le critiche per il rapporto costo/ beneficiari della misura. Come sempre, quando si parla di pensioni, sembra si tratti di una questione che riguarda esclusivamente i pensionati e non anche le aziende pri- vate o le strutture pubbliche da cui dipendevano. Tanti mettono in discussione che Quota 100 abbia agevolato l’assunzione in pianta stabile di nuovo personale, ma se anche ci fossero state nuove assunzioni, il costo dei dipendenti che hanno preso il posto dei pensionati è uguale o inferiore rispetto a quelli che se ne sono andati? Come documenta la triste vicenda degli esodati, spesso il pensionamento del personale delle aziende private viene utilizzato per riposizionare aziende che hanno problemi a proseguire l’attività. Ma di quest’aspetto delle ragioni dell’introduzione di Quota 100 non si parla negli organi di informazione.

Giuseppe Barbanti, Mestre

Lei coglie nel segno, gentile signor Barbanti, con i suoi argomenti e le sue domande, alle quali rispondo su richiesta del direttore. La finestra d’uscita dal lavoro di Quota 100, aperta dal precedente governo giallo-verde, si è rivelata soprattutto una grande - e assai costosa per le casse dello Stato - operazione di ammortizzazione sociale passiva. È servita, cioè, in particolare alle imprese per alleggerirsi di esuberi non dichiarati, per abbassare l’età media dei dipendenti e, con essa, far calare il relativo costo del lavoro e le remunerazioni. E ciò senza che si producesse, se non in misura assai ridotta, quell’auspicabile turn-over che avrebbe dovuto offrire maggiori opportunità d’impiego ai giovani grazie al pensionamento dei (quasi) anziani. Su quest’ultimo argomento, il leader della Lega aveva speso parole e argomentazioni anche iperboliche, pronosticando addirittura un effetto moltiplicatore – «nelle imprese e negli uffici ci saranno almeno 2, forse 3 ingressi di ragazzi per ogni uscita di lavoratore over 62 anni» – che, a essere ottimisti, si è realizzata al contrario: 1 ingresso di giovani ogni 3 pensionamenti. A testimoniarlo uno studio della Fondazione dei Consulenti del lavoro che stimava per fine anno 70mila assunzioni a fronte di 200mila quiescenze, pari a un turn over del 37% circa. Anche i numeri assoluti dei giovani occupati sembrano confermarlo: da gennaio ad agosto 2019 (ultimo dato Istat disponibile) sono aumentati di 65mila unità nella fascia 15-24 anni e di 32mila in quella 25-34 anni. E si tratta, si badi bene, dell’occupazione complessiva dipendente e autonoma, con qualsiasi tipologia contrattuale e di orario. Per quanto riguarda invece le cifre ufficiali dell’Inps, a inizio ottobre erano state presentate 184mila domande di pensionamento anticipato con Quota 100 (non tutte vengono poi accolte) e negli ultimi mesi il trend mostra un deciso calo, intorno a un flusso di circa 10mila domande al mese. Se così sarà, il 2019 dovrebbe chiudersi appunto con poco più di 200mila quiescenze con almeno 62 anni d’età e 38 di contributi. Tanto che, rispetto alle previsioni iniziali, la spesa complessiva, ha stimato il presidente dell’Inps, dovrebbe risultare inferiore di quasi 4 miliardi di euro rispetto ai 27 miliardi messi in conto nel quadriennio 2019-2022, una cifra monstre per il nostro sistema previdenziale (e fiscale che lo sostiene). Ora la nuova maggioranza di governo giallo-rossa si è trovata a dover decidere se intervenire sulla questione nella Legge di Bilancio, dividendosi sulla possibilità di mettere fine anticipatamente alla sperimentazione di Quota 100 prevista nel 2021 oppure allungare le finestre di uscita in maniera da produrre comunque alcuni (limitati) risparmi da destinare ad altre voci di welfare o se, infine, lasciare tutto com’era stato stabilito con la precedente manovra finanziaria. M5s non intende sconfessare la sua scelta precedente, a Leu la pensione anticipata non dispiace, mentre Italia Viva preme per cancellarla in coerenza con le critiche espresse lo scorso anno e il Pd è schiacciato nel mezzo di queste posizioni. Chi ha ragione? Di sicuro ci sono solo due dati: i costi finanziari e l’iniquità verso i giovani di questi pensionamenti precoci sono molto alti. Ma più alto ancora, a questo punto, sarebbe il costo sociale (e politico) di rimettere tutto in discussione dopo appena un anno, creando qualche decina di migliaia di nuovi 'esodati' tra i lavoratori che legittimamente hanno già concordato l’uscita con le loro aziende. Cosa fatta, capo ha – anche se il prezzo è assai caro. Piuttosto, i due anni che mancano alla fine della sperimentazione di Quota 100 possono essere un tempo utile per riordinare i tanti strumenti esistenti (opzione donna, Ape sociale…) e decidere finalmente quale flessibilità sia sostenibile per noi lavoratori e per il nostro sistema previdenziale. Che ha bisogno anzitutto di stabilità delle regole.

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