martedì 27 marzo 2018
Il cardinale Bassetti ha celebrato la Messa nella sede milanese del giornale. Ecco il testo dell'omelia
Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nella sede di Avvenire (Fotogramma)

Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nella sede di Avvenire (Fotogramma)

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Carissimi, siamo giunti oramai a quella settimana santa che culminerà con la festa di Pasqua, e sono molto contento di poter celebrare con voi questa Eucaristia presso la sede del quotidiano cattolico Avvenire.

Posso dire di trovarmi anch’io, come abbiamo appena sentito nel brano del Vangelo secondo Giovanni, in famiglia. Gesù è ospite della casa di amici (Lazzaro, Marta e Maria), e anche io, oggi, qui nella vostra redazione, sono tra amici. Come scrive l’evangelista Giovanni, anche voi mi avete accolto con tanto calore, per il quale vi ringrazio, così come vi ringrazio soprattutto per il grande impegno col quale ogni giorno costruite il giornale.

Se torniamo al Vangelo, vediamo che in quella cena, dove «Lazzaro era uno dei commensali», mentre Marta serve a tavola, ecco che Maria si alza e compie un gesto che darà origine a una delle pagine più suggestive di tutti i Vangeli. Esso è stato tramandato in quattro versioni, con qualche differenza significativa. In quella che abbiamo appena ascoltato, è possibile che sullo sfondo l’autore sacro abbia voluto tenere un libro biblico come il Cantico dei Cantici. Maria sembra essere l’unica, nel gruppo dei presenti, e anche dei discepoli, che intuisca o capisca cosa sta per accadere a Gesù. Non lo esprime però in modo semplicemente concettuale, quanto piuttosto con un gesto, fortemente simbolico, e proprio per questo molto più significativo e meno astratto di quanto possano esserlo a volte le parole. Su queste idee mi voglio fermare con voi, pensando al vostro impegno per un quotidiano cattolico.

Mi domando in cosa si distingua Avvenire dagli altri quotidiani italiani. Oltre al fatto che sta acquistando sempre più una posizione di rilievo per numero di lettori, e anche un ruolo di autorevolezza, in quanto testata sempre attenta alla mondialità e alla società italiana, c’è ancora qualcos’altro che vi distingue, che ha fatto del nostro quotidiano, nei cinquanta anni della sua storia, un punto di riferimento per le nostre comunità e anche per il vasto mondo della comunicazione sociale italiana.

Marco Tarquinio, all’inizio di quest’anno 2018 – ricordando il cinquantesimo di vita della testata, che si compirà il prossimo 4 dicembre – ha scritto in un suo editoriale che Avvenire è un «giornale mai aggressivo, ma stimolante e spesso, scomodamente e quasi inevitabilmente, “fuori dal coro”» (2 gennaio 2018). Oltre a quanto detto così bene dal direttore, ciò che contribuisce a fare la differenza è anche il modo in cui col vostro giornale vengono trovate e date notizie a volte ignorate da altre testate: tutto ciò perché in questa casa, come nella casa di Betania, ci si accorge – proprio come ha fatto Maria – di quello che altri non vedono o non comprendono pienamente.

Quella donna, vera discepola di Gesù, aveva invece visto e capito quello che non era immediatamente comprensibile, cioè l’imminente passione e morte del Maestro, e con un gesto “fuori dal coro” – per usare le parole di Tarquinio – che infatti suscita il rimprovero degli altri, quella sua intuizione tutta femminile è diventata una buona notizia, al pari di quella “buona notizia” che è il vangelo stesso. Infatti, nella versione dell’episodio che troviamo in Matteo o in Marco, Gesù dice che «dovunque sarà annunciato questo vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto» (Mt 26,13; cf. Mc 14,9).

Carissimi amici, nel formularvi gli auguri di una Santa Pasqua nel Signore, vi esorto a fare come Maria, che stando ai piedi di Gesù (cf. Lc 10,39) e ascoltando il suo vangelo, ha imparato a vedere le cose in profondità. In un mondo dove le falsità rischiano di plasmare mentalità distorte e pericolose, il vostro giornale si distingua grazie alla “buona notizia”.«Il miglior antidoto contro le falsità – ci ha ricordato Papa Francesco nel recente messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali – non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio... Informare – dice ancora il Papa – è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace» (52° GMCS). Di questi processi comunicativi ognuno di noi deve avere massima cura.Carissimi, gli anni di vita del nostro quotidiano coincidono con il tempo della grande trasformazione, nella Chiesa come nella società. Il progresso sociale ha significato nuovi stili di vita, più libertà e partecipazione, ma anche una forte secolarizzazione che ha investito il Paese, cambiandone molti tratti del volto. Gli avvenimenti, talvolta purtroppo tragici, che in questi decenni hanno segnato l’Italia e il contesto internazionale, hanno spesso chiesto ai credenti forte impegno e coerenza con i loro valori, talvolta anche a costo della vita. Mi sembra qui opportuno citare almeno l’onorevole Aldo Moro, il professor Vittorio Bachelet, il giudice Rosario Livatino e il beato don Pino Puglisi. Cristiani a tutto tondo che hanno testimoniato con il sangue la loro fede, le loro idee e il desiderio di un Paese migliore.

È storia recente, che ognuno di noi ricorda con lucidità. Come ricordiamo l’impegno profuso in questi anni dai cristiani per l’unità delle famiglie, il diritto alla vita, l’educazione dei figli, l’aiuto alle persone bisognose, italiane e straniere. La capillare presenza della Chiesa sul territorio italiano ha certamente aiutato ad attutire alcuni passaggi nodali dello sviluppo economico-sociale, non sempre uniforme; ha favorito la concordia nazionale, aiutando a “ricucire”, di fronte ai quei processi di disgregazione che hanno interessato il Paese e ancora minacciano il conseguimento del bene comune.

Alla luce dell’insegnamento conciliare, la Chiesa in Italia ha guidato il rinnovamento delle comunità, favorendo la consapevolezza che la fede ha bisogno di esprimersi anche con le idee e con una presenza culturale viva e intelligente, di cui i mezzi della comunicazione sociale sono parte rilevante.

Auspico che Avvenire sia ancora protagonista di questa presenza, con osservazioni attente e puntuali; interventi fermi e decisi quando l’occasione lo richieda. Sia interprete delle varie sensibilità del mondo laicale, mirando sempre al fine dell’unità ecclesiale.

Amo ora ripetere le parole che il beato Paolo VI, presto santo canonizzato, rivolse ai collaboratori del giornale, nella prima udienza alla redazione: “Noi vi accogliamo, carissimi figli dell’Avvenire, come amici, come collaboratori, come impegnati ad un comune servizio alla causa di Cristo, alla testimonianza della sua Chiesa, alla costruzione di una società sana, moderna, cristiana” (Udienza del 27 novembre 1971).

Grazie, Carissimi, per il vostro impegno e il vostro servizio. Grazie a nome di tutta la Chiesa che è in Italia, la cui missione vi impegnate a far conoscere al mondo, assieme al lieto messaggio di Cristo, risorto e presente in mezzo a noi. Buona Pasqua e ad multos annos!

Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

Cardinale presidente della Cei

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