Attanasio e la via maestra della diplomazia generativa
giovedì 25 febbraio 2021

La dura vicenda dell’ambasciatore Luca Attanasio, e delle due persone che stavano collaborando alla sua missione tragicamente spezzata, riporta alla ribalta la diplomazia, intesa come professione, spesso sottovalutata e oggetto di facili ironie. L’immagine oleografica, stereotipata e talvolta sarcastica dell’ambasciatore non nasce ieri. Le cifre prevalenti sono da una parte l’irrisione del formalismo vacuo (i pasticcini, i ricevimenti), dall’altra, specularmente, l’associazione della diplomazia con l’idea di scaltrezza, spregiudicatezza, cinismo. Tra i più autorevoli critici della diplomazia troviamo nientemeno che Immanuel Kant, che nel 'Progetto di Pace Perpetua' (1795) scrisse che gli ambasciatori sono sempre pronti a trovare giustificazioni per le guerre dei loro sovrani. In tempi più recenti, ha dominato a lungo la concezione cosiddetta 'realista' della diplomazia, basata su potere, interessi (anche legittimi), strategia. Questa la dura narrazione.

Ma dalla figura e dalla traiettoria esistenziale e professionale di questo giovane diplomatico apprendiamo, per fortuna, una lezione diversa e molto più vera, e che possiamo riassumere in quattro punti. In primo luogo, è un paradosso che un termine divenuto poco credibile in diplomazia (per la retorica inflazionata delle conferenze internazionali) sia proprio quello di pace. In realtà, a pensarci bene, la pace è la ragion d’essere stessa della diplomazia, come radicale alternativa alla guerra. Di conseguenza, la pace è il fine ultimo del servizio diplomatico, è una pratica eminentemente diplomatica. Luca Attanasio di pace ne ha costruita davvero in abbondanza, durante la sua breve ma intensa carriera. Ampliando lo sguardo, c’è voluta una pandemia per farci comprendere che solo un’infrastruttura delle relazioni internazionali – di cui la diplomazia professionale è un’espressione – fondata sulla cooperazione leale e aperta può salvarci dall’impotenza rispetto alla vastità delle sfide globali. In second o luogo, dobbiamo riconsiderare la nostra idea del rapporto tra diplomazia ed etica.

Qui non si tratta di tratti personali, pur importanti, ma di un tema che riguarda la formazione e l’orientamento dei diplomatici. Ad esempio, al netto delle grossolane caricature del machiavellismo e dal gattopardismo, c’è a dir poco un certo pudore, negli ambienti della diplomazia internazionale, a evocare l’etica come carattere distintivo del diplomatico. Ciò perché la scuola diplomatica cosiddetta 'realista' ha a lungo insistito che nelle relazioni internazionali contano i rapporti di forza, non la morale. Il preteso realismo ci ha però portato spesso in vicoli ciechi. E c’è davvero qualcosa di più realistico e tangibile, oggi, che rispondere alle necessità dei più deboli, a rispondere al 'grido della terra' e dei poveri?

E spesso anche i gesti individuali sono rivelatori di un modo di concepire il mondo, di fare spazio a un’idea di giustizia globale, di tenere vivo il tema della riduzione degli squilibri e delle sperequazioni. La terza questione riguarda il rapporto dei diplomatici con la società civile. Gli ambasciatori, si crede comunemente, vivono in una specie di bolla, in un universo ovattato, separati dal mondo reale e dalle fatiche del vivere. Luca Attanasio è stato un Ambasciatore d’Italia ineccepibile, ma la sua 'missione' non si arrestava alle porte della sede diplomatica. È uscito, ha oltrepassato i recinti, per incontrare l’umanità in difficoltà, per capire il 'Paese reale' in cui si trovava, non solo quello ufficiale. Questa diplomazia della porta aperta e dell’ascolto è quella di cui abbiamo bisogno: supera gli steccati pubblico-privato, governativo- non governativo, laico-religioso. Serve per comprendere meglio, e per comprendere meglio come servire. Il quarto insegnamento richiama il grande potenziale connettivo che la diplomazia professionale possiede, quando si articola, con intelligenza e cuore, in capacità di empatia, relazionale, di facilitazione. Luca Attanasio, in fondo, ha preferito svolgere la sua missione – e ha dato la vita per questo – generando processi, non occupando spazi. Una diplomazia generativa, non una diplomazia perimetrale.

Ambasciatore, docente di diplomazia e negoziato alla Luiss

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