Salto nel vuoto
mercoledì 26 aprile 2017

Al banco del check-in, com’era prevedibile e previsto dopo l’esito negativo del referendum sull’intesa per il rilancio di Alitalia, si presenterà il commissario. Il Consiglio d’amministrazione ha avviato ieri le procedure e convocato l’assemblea dei soci per il 2 maggio, assicurando nel contempo l’operatività dei voli. Per quanto ancora non è dato di sapere, visto che in cassa ci sono fondi solo per qualche settimana e, al di là di un possibile prestito-ponte, le possibilità di ricapitalizzazione sono precipitate assieme all’intesa faticosamente costruita da compagnia e sindacati con la mediazione del governo. Il no – ampiamente maggioritario – espresso dai lavoratori, più che un vuoto d’aria che fa sobbalzare la compagnia è un vero e proprio salto nel vuoto dell’incertezza, nel buio di un destino a rischio fallimento.È difficile comprendere, se si utilizzano criteri razionali, le motivazioni che hanno portato oltre il 67% dei dipendenti a dire no al piano di ristrutturazione.

Nonostante incertezze, errori della dirigenza e molte incognite, più volte sottolineate anche nelle nostre pagine, quell’intesa garantiva un nuovo impegno finanziario da parte degli azionisti e la continuazione delle attività di Alitalia. A un costo, per i lavoratori, appunto "ragionevole" da sopportare: un migliaio di esuberi in cassa integrazione su 12mila dipendenti, un taglio dell’8% degli stipendi per il personale di volo, la diminuzione dei riposi e l’allungamento dei tempi per gli scatti d’anzianità. Chi negli ultimi giorni ha parlato di «svendita vergognosa dei diritti» o di «dignità negata» farebbe bene a ripassare i cambiamenti avvenuti in molti contratti collettivi nell’ultimo decennio e il prezzo dei fallimenti e delle chiusure di fabbriche e uffici che i lavoratori hanno pagato perdendo il posto, a volte senza neppure la copertura di adeguati ammortizzatori sociali. E, per contro, quanti salvataggi e rilanci sono stati possibili grazie a riduzioni di costi e nuove organizzazioni del lavoro: su tutte quello della Fiat a Pomigliano, nonostante la feroce battaglia ideologica di chi era contrario, salvo dover ammettere poi l’errore.È piuttosto nel campo dell’irrazionale, del calcolo sbagliato e della ribellione che vanno ricercate le motivazioni che hanno spinto al "no" la gran parte dei lavoratori, in una mossa che potrebbe rivelarsi suicida. L’irrazionalità di chi pensa che il proprio "no" possa salvargli stipendio e condizioni di lavoro, il calcolo errato di coloro che si illudono che lo Stato possa ancora nazionalizzare la compagnia tornando a garantire fondi e magari anche privilegi di un tempo; la ribellione, infine, di quanti preferiscono l’utopia del "gran rifiuto" alla razionalità della mediazione e del compromesso.

Un moto di rivolta assai diffuso negli ultimi mesi, emerso già nel variegato e internamente contraddittorio "no" al referendum istituzionale, che nega non solo ogni ragionevolezza – per cui, ad esempio, l’appello di sabato scorso del premier Gentiloni finisce per sortire l’effetto contrario – ma che tende a negare alla radice ragione e ruolo della rappresentanza quando non è semplicemente la prima linea del conflitto, ma la punta avanzata della tutela e del cambiamento condiviso. Un sentimento figlio della disintermediazione predicata a lungo da Matteo Renzi e sempre rivendicata da Beppe Grillo. Non a caso, tra i pochi a "festeggiare" oggi l’esito delle votazioni come «il referendum della liberazione» di Alitalia «dai ricatti occupazionali e delle banche» è il Movimento 5 Stelle. La cui proposta oltre il commissariamento, però, non è chiara e oscilla tra la nazionalizzazione e l’abbandono al proprio destino; il ritorno alla "Compagnia di bandiera" coinvolgendo nell’azionariato Leonardo-Finmeccanica, Eni e Trenitalia o la chiusura, visto che nel Movimento molti ritengono le compagnie aeree fra i principali inquinatori del Pianeta, le cui attività piuttosto che potenziate andrebbero drasticamente limitate.Più ancora dei costi sociali del possibile fallimento di Alitalia, di questa vicenda spaventa in effetti il difetto generale di responsabilità che lascia intravedere. Difficile decollare come Paese se i piloti vengono irrisi, l’unica idea che fa presa è la sfiducia e la democrazia diretta scade nell’occasione per sfogare il proprio malessere e moltiplicare i problemi invece di risolverli. Dal voto a dispetto al vuoto il passo è breve.

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