mercoledì 15 agosto 2018
L’incontro di Roma con il Papa conferma che le nuove generazioni chiedono la disponibilità di stargli accanto nella vita, ascoltandoli: è quello che Francesco definisce «il lavoro dell’orecchio»
Giovani al Circo Massimo sabato per l’incontro con papa Francesco (Siciliani)

Giovani al Circo Massimo sabato per l’incontro con papa Francesco (Siciliani)

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Igiovani italiani al Circo Massimo ci sono e c’è anche papa Francesco. C’è, è lì con loro e per loro. Li ascolta, entra in dialogo, non teme parole scomode. Rilancia le loro giuste osservazioni, corregge false illusioni, indica direzioni, esorta a prendere scelte e a rendere testimonianza per portare vita in molti sepolcri. Mostra di conoscerli, di saperli ascoltare e di accompagnarli senza sostituirsi a loro. In quel dialogo nel quale – lo comprendi – a crescere è la speranza, si mostra un accompagnamento spirituale dove il Mistero, certamente, avrà trovato la sua strada nel cuore di molti. Quel momento e quello stile mi ha fatto ripensare ad alcuni passaggi della mia vita di prete insieme ai giovani. Mi sono sentito chiamato a rileggere il mio essere accanto ai giovani. Prima di tutto ho ricordato una panchina in oratorio. Una mano tesa. Un saluto, una parola che chiamava l’altro, ma prima di tutto me stesso – giovane prete fresco di ordinazione – a esserci. Comprendevo che non era anzitutto questione di 'carisma', di doti particolari, ma di scelta, di risposta a una chiamata, quella della mia vocazione. Il desiderio di incontrare si mescolava con l’imbarazzo degli inizi e con i confini della mia storia e della mia personalità. I giovani però non cercano dei 'supereroi', che li farebbero sentire probabilmente in difetto, ma cercano l’umano, quello reale. Decido di consegnarmi a una possibilità nuova. Si trattava di esserci, di spendere ore, la vita. Così infatti il Mistero trova la sua strada.

Esserci. Con chi? Per chi?
I ragazzi e i giovani sono svegli e sanno navigare con estrema facilità, si confrontano quotidianamente con innumerevoli informazioni. Sono abitanti del villaggio globale, dove le distanze sono azzerate, comunicando e chattando con gli estremi confini del mondo. Al contempo, molti di loro, pur essendo soffocati da mille attenzioni, soffrono una nuova solitudine. Perché? La ricerca di relazioni, per alcuni spontanea e per altri molto faticosa, comporta un consumo continuo e talvolta esasperato di energie, ancor più esigente se si considera che è imposto da uno stile troppo individualistico dell’esistenza. Spesso la drastica rottura con la tradizione e la debolezza del legame familiare rendono urgente la necessità di essere notati e accolti in nuove tribù coetanee.

Esserci. Come?
Al n.120 dell’Instrumentum laboris del Sinodo di ottobre sui giovani, parlando dell’accompagnamento spirituale si dice: «I giovani della Riunione pre-sinodale hanno a più riprese espresso lo stesso bisogno, sottolineando in modo particolare l’importanza della testimonianza e dell’umanità degli accompagnatori. Anche molte Conferenze episcopali sottolineano che i giovani chiedono la disponibilità a questo servizio da parte dei responsabili ecclesiali ed evidenziano che spesso questi hanno difficoltà ad assicurarlo». Nella lettera pastorale dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini – Cresce lungo il cammino il suo vigore – così siamo esortati: «È tempo, io credo, di superare quel senso di impotenza e di scoraggiamento, quello smarrimento e quello scetticismo che sembrano paralizzare gli adulti e convincere molti giovani a fare del tempo della loro giovinezza un tempo perso tra aspettative improbabili, risentimenti amari, trasgressioni capricciose, ambizioni aggressive: come se qualcuno avesse derubato una generazione del suo futuro. La complessità dei problemi e le incertezze delle prospettive occupazionali non bastano a scoraggiare i credenti». Papa Francesco utilizza questa splendida immagine: « Il lavoro dell’orecchio ». Accompagnare personalmente un giovane, esserci per lui e con lui, è vivere questo esercizio. Il lavoro dell’orecchio non è una strategia e non è nemmeno un dovere. Non nasce dalla certezza di trovare soluzioni, ma è risposta a una chiamata. Paola Bignardi, coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, ci ricorda che «una delle sofferenze che portano (i giovani) è un sottile senso di solitudine, perché sentono che la generazione adulta non è disposta o non è preparata a essere un punto di riferimento per loro». Accompagnare personalmente un giovane è rispondere alla chiamata della vita, della propria vita. Esserci è generare alla vita. È trasmettere una vita capace di futuro. E’ bene precisare che esserci non coincide con l’occupazione dello spazio, di tutti gli spazi. Ne risulterebbe una presenza fastidiosa e innaturale. Esserci è come il volto del padre o della madre che in te permangono. Esserci è la certezza di un punto di riferimento, di un volto umano che mi dice la verità. Esserci è ascoltare, è cercare, è indicare, è invitare. Così infatti il Mistero trova la sua strada. Rispondendo a Dario, 27 anni, infermiere in cure palliative, così papa Francesco ci dice: «Lui tutti i giorni deve uscire da se stesso, sia che sia contento, sia che sia triste, ma deve uscire per accarezzare gli ammalati, per dare le cure palliative che facciano meno doloroso il loro transito all’eternità. E lui sa cosa è uscire da se stesso, andare verso gli altri, andare al di là delle frontiere che mi danno sicurezza». Anche nella vita di chi accompagna i giovani ci sono momenti, e sono i migliori, in cui devi andare tu a cercare loro, in cui devi uscire. Penso a quelle situazioni derivate da scelte che si sono rivelate delle ferite. Non tutte le scelte che si prendono infatti – ognuno di noi lo sa – fanno anche bene. E così assapori la vergogna, l’imbarazzo o addirittura la paura. Passano i giorni, le settimane, i mesi e quel giovane che tanto aveva desiderato essere accompagnato non si fa sentire. Lo sguardo è sfuggevole. Le parole si fanno misurate. Sono i segnali che è il momento di uscire, di andare a cercarlo. È bussare a una porta, consapevole che, forse, qualcuno dentro quella stanza, dietro quella porta, si sente in gabbia, prigioniero di qualche errore. Così il Mistero trova la sua strada.

Cercare. Chi?
Un altro tratto infatti che accomuna molti giovani della nostra cultura dello scarto è proprio quello delle ferite, delle fragilità. È una sofferenza accentuata dal contesto di forte competitività e da una riduzione della vita alle sue prestazioni, ai risultati. Una forte delusione affettiva che può arrivare a manifestarsi in forme violente. Il disorientamento per un eccessivo o inadeguato investimento di senso nei confronti degli studi o del lavoro. Il senso di vuoto che sembra divorare ogni capacità della volontà nonostante il moltiplicarsi delle opportunità di svago, di crescita, di viaggiare, di conoscere... Il giovane, come ogni essere umano, invoca presto o tardi una vicinanza e una comprensione che siano la voce della speranza. Così il Mistero trova la sua strada.

Cercare. Come?
Al n.130 dell’Instrumentum laboris si dichiara che «chi accompagna è chiamato a rispettare il mistero che ogni persona racchiude e ad avere fiducia che il Signore sta già operando in lei. (...) La profonda interazione affettiva che si crea nello spazio dell’accompagnamento spirituale richiede all’accompagnatore una solida formazione e la disponibilità a lavorare prima di tutto su di sé sotto il profilo spirituale e in qualche misura anche psicologico». È facilmente comprensibile come non sia reale un accompagnamento personale senza il coinvolgimento maturo e adulto nella vita del giovane. Cercare è uscire da una stanza, da un ruolo, è condividere la vita. Cercare è lasciarsi interrogare ed essere aperti al cambiamento, che non è un aggiornamento per non restare indietro, ma è camminare. Cercare non è riservato a personalità esuberanti. Cercare è proprio di tutti. Uscire è orientamento e tensione propri di chi è stato raggiunto dalla misericordia. Così il Mistero, ancora una volta, trova la sua strada. Far crescere i sogni, purificandoli, mettendoli alla prova e condividerli. Amare, prima di tutto, mettendoci tutta la carne al fuoco. Dire di no alla paura. Fare il bene. Sono solo alcune delle indicazioni che hanno raggiunto il cuore dei giovani. Mi hanno fatto pensare a quando, al termine del periodo estivo, nei primi giorni di settembre io mi affretto a incontrare personalmente alcuni giovani. Sono coloro che stanno per iniziare il percorso universitario, soprattutto. Ma c’è anche qualcuno che da poco ha trovato lavoro. Nel dialogo sono interessato alle strade nelle quali si stanno avviando. Indico opportunità, incoraggio e invito. È un momento molto bello. Loro intuiscono di essere voluti bene.

Indicare. Come? Sempre al n.132 dell’Instrumentum laboris si dice: «Gli accompagnatori non dovrebbero guidare i giovani come se questi fossero seguaci passivi, ma camminare al loro fianco, consentendo loro di essere parte attiva del viaggio. Dovrebbero rispettare la libertà che fa parte del processo di discernimento di un giovane, fornendo gli strumenti per compierlo al meglio. Un accompagnatore dovrebbe essere profondamente convinto della capacità di un giovane di prendere parte alla vita della Chiesa e coltivare i semi della fede nei giovani, senza aspettarsi di vedere immediatamente i frutti dell’opera dello Spirito Santo». E anche così, infine, il Mistero trova la sua strada.

responsabile Pastorale giovanile Diocesi di Milano

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