giovedì 14 luglio 2022
In viaggio con alcuni protagonisti della vita italiana nei paesi a cui sentono di appartenere. Bruno Pizzul, da una possibile carriera nel calcio giocato a una vita da telecronista Rai
Bruno Pizzul, 84 anni, storico telecronista Rai

Bruno Pizzul, 84 anni, storico telecronista Rai - Imagoeconomica

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«Andrèes. / Quatre cjases in crous. /Se no tu fai ad ora a scjampâ uchì tu devente vecje e tu mour. Un po’ de prâtz, dos tre montz / se no tu scjampe no tu scjampe pì / Tu devente Andrèes». Tradotto dal dialetto friulano: «Andreis. Quattro case in croce./ Se non fuggi in tempo / qui diventi vecchio e muori./ Qualche prato / due tre montagne./ Se non fuggi, non fuggi più: diventi Andreis». Sono i versi del poeta più visionario partorito dal Friuli, Federico Tavan (1949-2013). Il figlio dolcemente folle di Andreis (Pordenone) che non ha mai lasciato il suo paese – fino alla morte – se non costretto per brevi periodi a sottoporsi alle cure per i disturbi mentali, di cui soffriva fin da bambino.

Un altro grande figlio del Friuli, è lo storico telecronista Rai, Bruno Pizzul, classe carsica 1938, nato e cresciuto a Cormons: comune delizioso di 7mila abitanti nella provincia di Gorizia. Una valle dell’eden enoica, costellata di filari di vigneti che tracciano il confine naturale con la Slovenia. Da qui, il giovane Bruno è partito subito dopo la maturità classica. «Iniziai al liceo Stellini di Udine, istituto elitario in cui quelli come me che si dividevano tra il calcio e il latino non erano visti di buon occhio, così optai per i più elastici professori del liceo Dante Alighieri di Gorizia. Loro apprezzavano il mio 'doppio passo', sport e scuola, e mi portarono al diploma». Pezzo di carta alla mano via da Cormons per inseguire la passione per il calcio, allora solo giocato, e la laurea in giurisprudenza. Ma prima il pallone, centrocampista difensivo, di peso, del Catania.

«Il mio talento era inversamente proporzionale alla passione con cui sono stato accolto dai catanesi ai quali, oggi posso dirlo con un pizzico di sincero rammarico, ho dato molto meno di quel tanto da loro ricevuto». Schietto e trasparente come un buon bicchiere di Ribolla, il Bruno nazionale da Catania risalì, sempre per ragioni calcistiche, sbarcando in un’altra isola, quella di Ischia. Poi ritorno a Catania ma un infortunio pose fine alla carriera calcistica e con l’approdo a Milano iniziò quella giornalistica, «che non avrei immaginato di fare». 'Mamma Rai' lo accolse a braccia aperte, nel 1969, dopo aver vinto regolare concorso. Debutto in telecronaca in Coppa Italia: Bologna-Juventus, sul neutro di Como, dove cedendo al lauto pranzo «con annessa bevuta» proposto dal collega guascone, «il grande Beppe Viola, arrivai in postazione con affanno: le squadre erano già in campo da quindici minuti...». Aneddoti a profusione quelli collezionati in 35 anni di telecronaca diretta con il popolo degli stadi. E per arrivare al traguardo della meritata pensione ci sono volute crono giornaliere in sella alla sua bicicletta: tappa fissa da casa Pizzul, in via Losanna, fino alla sua 'seconda casa', la sede Rai di corso Sempione. Lì nella fantastica redazione sportiva condivisa oltre che con Beppe Viola, con i fraterni colleghi Carlo Sassi e Heron Vitaletti «entrava il mondo. Un giorno arrivava Gianni Rivera appena sceso dal tram per l’intervista alla vigilia del derby di San Siro con Beppe ( Viola), l’altro, toccava all’attore Jean-Louis Trintignant in pausa pranzo dal set che portava vino e formaggio francese per l’assaggio amicale».


«I social hanno cambiato tanto, ma io spero che i giovani di qui imparino a conoscere a fondo e ad amare lo spirito del luogo, perché quello te lo porti sempre dentro, ovunque tu vada»

Storie di un fine narratore microfonato, rimasto idealmente in collegamento da tutti i campi del mondo. Ma non è di calcio né dei quarant’anni del Mundial dell’82 che dobbiamo approfondire, a noi interessa del suo piccolo mondo antico, di cui ci parla volentieri 'collegato' dal locale dell’Arrigo, la Trattoria Mukerli di Cormons. «Questa negli anni è diventata un’osteria, un luogo di incontro per simpatiche e lunghe sfide a carte – briscola e tresette –. Purtroppo non è più bocciofila, e di là, gli sloveni con le bocce che gli regalammo tanto tempo fa sono diventati più bravi di noi». Pizzul non è di passaggio nel suo paese natale, né in villeggiatura estiva: una volta andato in pensione e appesa la bici al chiodo milanese è tornato a Cormons in pianta stabile. «Qui c’è la casa dei miei genitori che hanno vissuto oltre i novant’anni. Non ho mai reciso il cordone con la mia terra madre e dopo oltre quarant’anni di Milano, città che stimo e che mi ha dato tanto, con mia moglie abbiamo deciso di tornare a vivere qui, a riparo da quella frenesia alla quale peraltro non mi sono mai piegato». Ritorno alle origini, alle stradine, un tempo bianche e polverose, teatro delle prime partite di calcio che sancirono la 'pace'.

«Nei quaranta giorni di terrore sotto la minaccia di Tito (1 maggio-12 giugno 1945), ricordo che in paese le famiglie si erano divise, vivevano nel sospetto e nel rancore reciproco delle opposte fazioni pro e contro la Jugoslavia. Un uomo di dialogo e illuminato come don Rino Cocolin, futuro arcivescovo di Gorizia, capì che noi ragazzi dovevamo rimanere uniti e per questo ci lanciò un pallone scucito e pieno di gobbe e ci disse: 'Ora giocate tutti insieme'. Era l’unico pallone di Cormons, e i genitori vedendo i figli giocare felici placarono il loro odio». Prima squadra a tesserarlo fu quella dell’oratorio, la Cormonese. E da quel campetto, oggi, passa e nelle nelle grida dei ragazzi ritrova le emozioni della meglio gioventù di ieri. «Quando vivevo a Milano e pensavo al mio paese il senso dell’assenza era dato dalla mancata percezione del passaggio delle stagioni. A Cormons avevo imparato a riconoscere la fioritura delle piante, la migrazione degli uccelli: la cincia allegra che vola d’inverno e il passero che con il caldo se ne va lontano e torna quando c’è la neve sul monte Quarin. In città questa percezione si perde, però a me bastava chiudere gli occhi per rivedere e risentire a distanza l’incanto della natura che cambia con il cambiare del tempo».


Classe 1938, la voce di tante partite della nazionale abita nel comune in cui è nato, 7mila abitanti, in provincia di Gorizia

Una natura forte e a tratti anche spaventosa. «Sono cresciuto con i racconti dei vecchi che d’inverno ci portavano al caldo della stalla o in estate in mezzo all’aia sotto la luna a sgranare le pannocchie. Mentre si facevano i mestieri della campagna loro ci parlavano di 'mostri' che popolavano i boschi e i fiumi. Non era vero, ma un bambino di allora alla fine ci credeva o gli faceva piacere credere a quel castello dove una dama era stata murata viva e di notte rischiavi di incontrarla mentre si aggirava per i campi». Un mondo di fole dove la fantasia era ancora saldamente al potere, e certe storie, come i valori forti del fogolar e del senso della famiglia si tramandano ancora in casa Pizzul: «Due dei miei figli sono nati qui, e qui vengono con i loro figli a farci visita. Abbiamo 11 nipoti, sì come una squadra di calcio, e non vedono l’ora di tornare a Cormons a trovarci, anche perché – sorride – allettati dalle ottime prebende e le laute mancette assicurate dai nonni».

Fino a poco tempo fa qui tornavano anche i suoi 'amici fraterni' per le grandi partite a carte ai tavoli di Arrigo. Oltre allo 'straniero' Gianni Mura che saliva da Milano, a Cormons veniva in trasferta la squadra dei friulani doc: il 'Vecio' ct azzurro Enzo Bearzot da Joannis, il mister Fabio Capello da Pieris («che però non giocava, perché Fabio non ama perdere») e il campione del mondo dell’82 Dino Zoff da San Mariano del Friuli «che si sistemava tra Cormons e Cividale, per ritrovare anche il suo caro amico Diego Meroi, dirigente e braccio destro di Artemio Franchi in Federcalcio ». Quelli erano momenti di festa a Cormons, come per San Giovanni «che purtroppo non si festeggia più, per gravami di carattere burocratico legati alle grigliate. Così si ripiega sulla Festa della Primavera che una volta era la scampagnata dei paesani in collina al lunedì di Pasqua, ora invece la organizzano i nuovi proprietari delle case lassù, per lo più austriaci e tedeschi che per un giorno aprono le loro abitazioni e accolgono la gente di Cormons per una merenda e una bevuta all’insegna dell’amicizia». Segni del miglior passato che si conservano nonostante la 'deriva tecnologica'. «I social hanno cambiato tanto, ma io spero che i giovani di Cormons, specie in futuro, imparino a conoscere a fondo e ad amare lo spirito del luogo, perché quello te lo porti sempre dentro, ovunque tu vada».

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