giovedì 16 giugno 2016
Ridateci Cattani
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Ridateci Cattani. Corrado Cattani, commissario di Polizia, sintesi (tele)visiva della battaglia eroica e feriale degli uomini e delle donne della legge contro la piovra mafiosa. Ridateci la sua vita e anche la sua morte, dure e generose, tenacemente e mai disperatamente indocili al male e alle ragioni che inducono a commetterlo o anche solo a metterlo in scena, comunque questo avvenga.Ridateci don Diana. Don Peppe Diana, prete e scout. Martire vero dell’amore che tutto abbraccia e tutto comprende, e che proprio per questo mai chiude gli occhi sulla sopraffazione malavitosa, mai si rassegna alla violenza che umilia e uccide e nulla, proprio nulla, concede al falso quieto vivere e allo strapotere dei boss. Martire vero dell’amore per Cristo e per un popolo a cui apparterrà per sempre e di cui ha saputo diventare padre.Ridateci Impastato. Peppino Impastato, cronista, poeta, figlio ribelle. Ridateci la sua voce e le sue mani capaci di far lievitare il pane della giustizia. Ridateci il senso della sua caduta sul campo. Come schiacciato dall’odio e dall’ombra immane del sacrificio di Aldo Moro in un 9 maggio insanguinato e divenuto crinale atroce nel nostro tempo civile, e invece no. Invece ancora e sempre in piedi, in faccia ai capi delle cosche, alla testa e nella testa di tutti quelli che resistono.Ridateceli, presto. Ridateceli nei mille e mille nomi e gesti quotidiani di civiltà e di legalità da cui è possibile distillare gesti e nomi che non siano più soltanto i nomi e i gesti di "Gomorra", che qui neanche vogliamo citare dopo la lunga teoria  inanellata dalla seconda serie che ha appena finito di celebrare i suoi fasti televisivi e "social". Ridateci Cattani, don Diana, Impastato e con loro e con quelli come loro, che sono tanti e non meno veri di ogni "malamente" e infinitamente più coraggiosi, ridateci la parte giusta e brutalmente amputata della realtà di un Paese e del suo Sud piagato, certamente, dalle mafie, ma non piegato dentro a una notte di un solo colore, l’abbacinante nerosangue di un universo camorrista che si avvolge su se stesso.Diciamo che è un appello a tutti coloro che scrivono per la televisione e per il cinema, e a tutti coloro che ciò che è scritto traducono in narrazione per immagini e questa narrazione producono e mettono in circolo. Un appello senza esclusioni. Rivolto per cominciare, proprio a coloro che hanno inventato l’epopea orribile e totalitaria dei gomorristi e, tra questi, prima che a ogni altro, a Roberto Saviano (l’inventore del "marchio" e il primo ideatore della serie) e a Stefano Bises (gran maestro di sceneggiatura, che intervistiamo proprio oggi). Anche se ci è stato fatto sapere che la terza serie di "Gomorra" resterà ancorata alla formula ipercriminale che ha funzionato sin qui e che si vende bene in tutto il mondo, non rinunciamo a sperare in uno scarto, in un ripensamento, in un colpo di genio. Il genio buono dell’anticamorra. Che non ha muscoli magici, ma umanità e coraggio.Lo scriviamo oggi questo appello, a serie conclusa e a bilanci trionfali già fatti, per non sembrare quelli che lanciano il "boicottaggio". Non ci interessa, non vogliamo far mancare neanche uno spettatore a nessuno. Ma non vogliamo nemmeno che in racconti che si insediano nella memoria collettiva e nell’immaginario comune e che viaggiano per il mondo si continui a far mancare un pezzo fondamentale di realtà, la parte luminosa e non meno spettacolare che anche sotto le Vele di Scampia, quelle Vele che "Gomorra" riconsegna al mito esclusivo e repellente dell’anti-Stato, viene costruita ogni giorno da educatori ed educatrici, sacerdoti e suore, uomini e donne in divisa, volontari, artisti, sportivi, padri e madri di famiglia che non sono camorristi e non vogliono esserlo, che sono cittadini, e cristiani, e uomini e donne giusti.«Non è una questione etico morale, ma di realismo». Michele Placido, il grande attore che diede volto e profondità al personaggio di Corrado Cattani, martedì 14 giugno lo ha detto senza polemiche inutili e senza giri di parole alla nostra Angela Calvini. È lo stesso «realismo» che ha spinto un salesiano come don Antonio Carbone a scrivere a questo giornale per spiegare perché, invece delle immagini e dei versetti «urlanti » del vangelo di 'Gomorra', tra i suoi ragazzi di Torre Annunziata avrebbe continuato a seminare e a raccogliere semi anti-camorra come quelli sparsi durante un incontro con Raffaele Cantone. E questo stesso «realismo», oltre che una commozione e una gratitudine indicibili, ci ha portato a inchinarci – con un editoriale di Antonio Maria Mira – davanti ai carabinieri e ai poliziotti che hanno concretamente frapposto la propria vita, sino a perderla o a vederla sconvolta, tra il male arrogante delle mafie e noi tutti. Tutto questo non si può e non si deve cancellare, neanche per fiction.
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