domenica 31 luglio 2011
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Ci avevano raccontato la tv digitale terrestre come una nuova e bella occasione di pluralismo. Come il passaggio da un etere che si era fatto sempre più stretto (per un certo caos d’origine e per lo straripante prepotere dei ben noti giganti del traliccio analogico e del satellite) a uno spazio ordinato eppure abitabile da tanti. Certo abitabile anche da tutti coloro che avevano saputo “fare tv” con spiccato spirito di servizio al proprio territorio e – udite, udite – persino “per volontariato”, cioè pensando prima di tutto alla propria gente e coltivando l’idea di una missione culturale da assolvere e, poi, solo poi ed eventualmente, pensando anche al business.Stiamo prendendo atto che non è così, che – per come sono state impostate le cose da Ministero e Agenzia – la logica del prepotere (e delle prenotazione delle fette di torta) appare purtroppo sempre la stessa. Stiamo registrando che la riorganizzazione digitale è diventata – quasi inesorabilmente, in questi tempi di crisi – anche un’occasione per lo Stato di “fare cassa” (piazzando spicchi di torta a compagnie telefoniche) e che il conto non è affatto diviso in parti uguali e che, anzi – secondo quella che sembra diventata la strana regola dell’Italia del 2011 –, pagherà di più chi ha di meno. Stiamo, insomma, scoprendo che anche in questa complessa storia ci sono delle vittime designate e che, guarda caso, queste vittime sacrificali sono ancora una volta i più piccoli, i più disinteressati (e dediti), i più apparentemente deboli: tante tv espressione della provincia italiana e moltissime di quelle preziose “emittenti di comunità” che sono state promosse negli ultimi trent’anni soprattutto (ma non solo) da cattolici.Si annuncia una vera Tele–Mattanza, e noi non ci stiamo a vederla consumare in silenzio, nel cuore vacanziero d’agosto (i bandi per l’assegnazione delle frequenze sono in arrivo proprio in questi giorni…) e nella distrazione dei più.Ovviamente, razionalizzare si può e – per certi versi – si deve. Ma lascia di stucco che tra i criteri fissati per “salvare” la frequenza di una tv  non ci sia la forza della stessa tv presso il pubblico dell’area servita. Nulla conta, in pratica, che un’emittente locale sia molto o poco seguita, conta che abbia patrimonio e che guadagni. E così una realtà televisiva senza peso, ma che ha sinora fatto reddito (persino abbondante) affittando i propri impianti ad altre emittenti può farcela a restare in campo da padrona in casa propria, mentre un tv significativa per ascolti e incisiva per qualità dei programmi, ma magari fatta soprattutto per passione civile e informativa, corre pesantemente il rischio e ha la quasi certezza di essere sfrattata, di doversi trovare un oneroso affitto o di sparire. Una vera, insopportabile, ingiustizia.Ovviamente, nessuno pensa che sia giusto umiliare ruolo e investimenti dei grandi network.  Ma si resta sbalorditi nel constatare che ai “big” – Rai, Mediaset e Telecom – non viene solo garantito ciò che già hanno, ma è addirittura assicurato spazio digitale in più. Alla fin fine – manco a dirlo – a spese dei piccoli, secondo quegli ingiusti criteri che abbiamo appena richiamato e che sono spiegati a dovere nell’inchiesta giornalistica che cominciamo a pubblicare oggi alle pagine 4 e 5.Ma c’è qualcuno – premier, ministro, garante, editore, sindacalista o esperto – che pensa di poter spiegare non soltanto a tutti coloro che sono minacciati dalla Tele–Mattanza ma all’intera opinione pubblica italiana perché mai ruolo e investimenti delle piccole e serie tv varrebbero meno di quelli dei grandi gruppi televisivi? C’è qualcuno che se la sente di difendere questa strana idea di maggior pluralismo che si concreta nell’ulteriore straripare delle superpotenze televisive e nella penalizzazione delle autentiche voci tv del territorio?Poco più di un anno fa, Avvenire sollevò  il caso del “Delitto mediatico”, lo strangolamento con una feroce manovra sulle tariffe postali della stampa del territorio, delle testate nazionali con molti abbonati, delle piccole case editrici. Si arrivò a una riduzione del danno (con problemi ancora lontani dall’esser risolti). Oggi ci ritroviamo al cospetto di un processo analogo che tocca il mondo delle tv. Verrebbe da pensare a un piano preordinato. Ma forse è solo un caso. E allora ci si dia da fare per risolverlo. A chi giova, e chi premedita, la Tele–Mattanza?
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