domenica 8 settembre 2013
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Parlare di fraternità mentre in qualche stanza dei bottoni c’è chi ha già segnato sulla mappa geografica cosa dove e come andrà colpito in Siria può sembrare poco più che un nobile gesto, bene che vada. La storia recente purtroppo insegna che il cuore dei potenti si indurisce nell’ostinazione di compiere ciò che è stato già programmato nei modi e nei tempi, secondo disegni che quasi sempre il tempo si incarica poi di spogliare della loro apparenza ragionevole e persino umanitaria. Ma chi agisce perché si eviti di sfrenare definitivamente l’incontrollabile slavina della violenza e dell’ingiustizia ha dalla sua, più ancora di precedenti circostanze analoghe, la forza di un linguaggio che trova un ascolto globale forse senza precedenti, e sempre meno sorridente condiscendenza.
Ricordando all’umanità intera che ognuno di noi è custode del proprio simile, che «essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri», il Papa ieri sera non ha detto semplicemente quanto ci si poteva attendere da lui, quasi che fatta la sua parte ora dovesse lasciare la scena a chi davvero 'sa cosa fare'. Dalla voce di Dio nel giardino dell’Eden («Vide che era cosa buona») al crampo omicida e vigliacco di Caino («Sono forse io il custode di mio fratello?»), Francesco ha fatto risuonare in piazza San Pietro parole eterne che rilanciano l’eco profonda di ciò che costituisce o deforma il volto di ogni persona. Chi è l’uomo? Quale scopo ne orienta la vita? Dove nasce la sua dignità? Perché si è corrotta l’armonia che sentiamo incisa nelle fibre più intime di noi stessi? E come possiamo ripristinarla, fragili come siamo?
Ecco quel che ha colto l’iniziativa del Papa, tanto da suscitare un consenso ampio, cordiale, convinto, realmente planetario, e che nemmeno gli strateghi a tavolino della guerra potranno seriamente ignorare: un’intera giornata dedicata al digiuno e alla preghiera – gesti umani, personali, che richiedono consapevolezza e condivisione non superficiali – ha la potenza di risvegliare la nostra natura di creature, fatte di polvere e meraviglia, di dipendenza reciproca e di efferato egoismo, capaci di riconoscere l’«opera buona» uscita dalle mani del Padre di tutti ma anche buoni solo a «rovinare tutto» quando si mettono «al posto di Dio» prostrandosi agli «idoli del dominio e del potere». Non è un saggio di geopolitica quello che il Papa ha consegnato nella serata romana al mondo angosciato per l’incombere di una nuova, insensata guerra dagli esiti difficilmente prevedibili (eppure non così impossibili da immaginare, se solo si avesse l’umiltà di ragionare).
Da Roma è rimbalzato al mondo il parlare sommesso e forte, da cuore a cuore, di un uomo che ci risveglia alla nostra verità di figli creati per capirsi e non combattersi, per dominare il caos e non cedergli una volta ancora. Ognuno di noi è richiamato a se stesso, a pagare di persona quel che serve (ecco il senso del digiuno) e a sapersi bisognoso e non dominatore (è l’alfabeto umile della preghiera). Eccola, allora, la domanda decisiva che spazza il campo dai carrarmati del risiko e dalle bombe mai intelligenti: a quale uomo vogliamo somigliare? Ad Adamo stupìto e grato di vedersi affidata la creazione e la sua indicibile bellezza, o al suo alter ego piegato dalla presunzione e condannato da se stesso a patire il pungolo della violenza e della morte, seminatore di odio, traditore del disegno che reca inciso nella sua anima?
Non è dunque solo il successore di Pietro, ma ciascuno di noi che può dire ai potenti della Terra «è possibile percorrere un’altra strada», non è faccenda da visionari credere che davvero «possiamo uscire da questa spirale di dolore e di morte». È possibile, sì, semplicemente perché «lo vogliamo». E perché – ci ricorda Papa Bergoglio – da quando la Croce ha risanato la ferita di Caino ogni uomo è reso capace di ricostruire ogni giorno chi realmente è, chi era prima che l’indifferenza e il cinismo del piccolo cabotaggio quotidiano lo rendessero miope. Fraternità, dialogo, riconciliazione, pace vibrano nella vita di ciascuno, e di qui parlano all’umanità, potenti inclusi.
​​Ci volevano il personalissimo gesto della preghiera e del digiuno, le parole di Papa Francesco in una serata romana intrisa di speranze e l’economia viva che gli uni e le altre hanno suscitato in ogni angolo del mondo, per ricordarci che il destino della Siria incrocia anche le strade della nostra vita.
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