giovedì 15 gennaio 2015
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Alzi la mano chi non ha mai associato l’idea di un viaggio papale all’immagine di grandi assemblee con centinaia di migliaia e non di rado milioni di persone intorno al Pontefice. Non solo le Giornate mondiali della Gioventù, non solo Manila 1995 (la «Messa più grande della storia»). Non solo i ritorni in patria di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, ma anche altre occasioni in partenza annunciate come sicuri flop (valga per tutti l’esempio del viaggio di papa Wojtyla in Francia nel 1996), hanno confermato quel binomio. Che è diventato una costante da quando Giovanni Paolo II ha reso le visite nei diversi Paesi e continenti una modalità niente affatto straordinaria dell’esercizio del ministero petrino. Non dovrebbero perciò stupire più di tanto i numeri della tappa srilankese del secondo viaggio di papa Bergoglio in Estremo Oriente. Trecentomila persone ad attenderlo martedì lungo la strada dall’aeroporto al centro di Colombo, con la papamobile che impiega un’ora in più del previsto proprio a causa della grande partecipazione. Mezzo milione ieri mattina alla Messa di canonizzazione del primo santo dello Sri Lanka, il padre Giuseppe Vaz. Quasi altrettanti al santuario mariano di Madhu, simbolo della volontà di lasciarsi definitivamente alle spalle la guerra che per decenni ha diviso tamil e cingalesi. Scene di entusiasmo e di affetto che hanno spinto il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, a 'scomodare' addirittura il paragone con il primissimo viaggio di Giovanni Paolo II, nel 1979 in Messico. Con la sostanziale differenza, però, che i messicani sono quasi tutti cattolici, mentre in Sri Lanka i fedeli della Chiesa di Roma sono solo il sette per cento della popolazione. Ecco allora che un dato di cronaca di per sé ormai connaturale alla categoria viaggi papali, assume in questo contesto una valenza nuova e per alcuni versi perfino sorprendente. Questa partecipazione così intensa della gente, pur in una nazione a maggioranza non cattolica, è infatti un segno che non si può spiegare solo con la grande popolarità, la naturale capacità comunicativa e il sicuro carisma che abbiamo imparato ad apprezzare in Francesco in quasi due anni di pontificato. E nemmeno aggiungendo circostanze innegabili come il fatto che da queste parti – se va bene – un Papa passa una volta ogni vent’anni. I due giorni di permanenza sull’isola ci hanno fatto comprendere che papa Bergoglio sa comunicare e viene capito anche al di fuori dei confini della cattolicità intesa in senso sia geografico che culturale. Il suo modo di proporre il Vangelo 'conquista' perché in definitiva egli parla il linguaggio universale dell’amore e della pace, del perdono e della riconciliazione. Perché difende la libertà religiosa, «diritto umano fondamentale», e si presenta oltre che con la sua credibilità personale (già di per sé altissima), anche e soprattutto con quella dei tanti cristiani che sono perseguitati oggi nel mondo a motivo della loro fede e che in nessun caso ricambiano con la violenza le pesanti offese in qualunque modo subite. Anzi, come è successo proprio qui in Sri Lanka e come è stato ricordato ieri al santuario di Madhu, fanno da ponte tra le etnie e da operatori di pace tra i gruppi religiosi. In definitiva possiamo dire che la straordinaria partecipazione popolare ci consegna il primo risultato tangibile di questo viaggio. Se anche chi non è cristiano è capace di comprendere il messaggio di un Papa che si fa pellegrino per parlare a nome di Uno che aprendo le braccia sulla croce ha amato e salvato tutti senza distinzione di razza, cultura e religione, allora vuol dire che, al contrario di quanto affermano i diversi fondamentalismi, il mondo si salverà solo percorrendo le strade del rispetto reciproco, del dialogo e dell’amore. Francesco, che ieri è entrato con rispetto in un tempio buddista, dopo essere stato alla Moschea Blu di Istanbul, è di esempio in tal senso. E mai come in questo caso si può dire che – oltre a dottrina, ragione, cuore – anche i numeri sono dalla sua parte.
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