giovedì 13 luglio 2017
Cenere ovunque, alberi come tizzoni spenti, strade interrotte dai tronchi caduti... A quota mille con i carabinieri. E intanto gli incendi continuano
Quel che resta del Vesuvio dopo gli incendi. Guardando dalla bocca del cratere

Grigio. Dappertutto. Il cielo, l’aria, la terra sotto i piedi. Come fossimo sulla luna, come dentro un altro mondo. È il Vesuvio. Che brucia da una settimana e continua, sebbene oggi vada leggermente meglio e forse anche perché per l’intera giornata prima due, poi tre Canadair, dal primo mattino fino a sera, non hanno mai smesso di scendere sul mare a caricare acqua e tornar sù a spazzarla sulle fiamme.

Saliamo. Seicento metri, poi ottocento, infine mille. Dove finisce la strada e comincia il sentiero ripido che porta al cratere. Qui c’è un bar, accanto alla biglietteria, il proprietario è Paolo Mollica: «Abbiamo subito danni, grossi. E siamo fermi da giorni e penso che per bonificare tutto ci vorrà tempo», spiega. Eppure non è questo che gli fa più male. «Questa è una terra che a noi ha dato tanto. Noi cerchiamo di difenderla, però molte volte non ci riusciamo. Oggi siamo sconfitti», dice, amarissimo. «Però ora bisogna ricominciare».

La strada è deserta, è sbarrata molto più in basso, nessuno passa. Saliamo coi carabinieri, il paesaggio è spettrale. Non c’è più niente. Tutto bruciato. Tutto grigio e bianco. Qualche piccola zona s’è salvata e deve ringraziare il vento che ha portato il fuoco da un’altra parte.

Chissà quanto tempo servirà alla natura per mettere le cose a posto. E chissà quanto all’uomo, per sistemare questo scempio. Questa «calamità criminale», come l’aveva definita l’altro ieri il generale Sergio Costa che comanda i carabinieri forestali della Campania. Che ha creato in pochi giorni davvero uno scenario tragicamente lunare di cenere.

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