sabato 13 giugno 2020
La storia di chi ce l'ha fatta. Il dottore di Avellino dà la notizia della sua guarigione e ringrazia i medici che lo hanno curato: "Mi avete salvato la vita"
Carmine Sanseverino, il medico che ha superato il Covid-19

Il dottore Carmine Sanseverino ce l'ha fatta. "Nuccio" per i suoi cari e per i tanti amici che ad Avellino hanno trepidato i questi due lunghi mesi di lotta contro il Covid, ha voluto dare lui stesso l'annuncio. Provato, quasi irriconoscibile, nel video che ha voluto fosse postato su Facebook, ma finalmente fuori pericolo. Il primo grazie è per i colleghi che l'hanno salvato, a partire dal direttore del reparto di rianimazione dell'ospedale "Moscati" di Avellino, il dottore Angelo Storti, per i suoi cari e per i tanti che hanno sperato e pregato per lui.

Era la notizia che una città, una provincia intera, aspettava, amplificata dalla comunicazione dei social e del Web. Attraverso Facebook, a inizio emergenza, il dottore Sanseverino aveva sempre tenuto informati sulla situzione dei contagiati ricoverati al Pronto soccorso dell'ospedale di Avellino, poi le feste in reparto ogni guarigione, con medici e infermieri tutti bardati come marziani, il sollievo a ogni tampone negativo al quale si è ripetutamente sottoposto. Finché un giorno è toccato a lui dare un brutto annuncio che lo riguardava. Il 13 aprile gli viene diagnosticata una polmomite interstiziale e il tampone stavolta è positivo. Un primo post per tranquillizzate tutti: «Sto bene. Unico sintomo: la febbre».

Un altro post, poi, a tranquillizzare sulla negatività del test sui suoi cari. Due giorni dopo, però, un lungo post struggente, a descrivere il ricovero e i tanti pensieri che gli affollano la mente, in quel momento: «Rivedrò mai la mia amata Carmela, riuscirò a vedere i miei figli laureati?». Tutti e due, ricorda, al termine del loro percorso. «Ad Ada mancano 2 esami, Giovanni è al quinto anno di medicina. Mia sorella... la mia casa».

Nello stesso giorno rilascia un'intervista a Norberto Vitale, direttore di Prima tivvù, nella quale sostiene che - a suo avviso - non deve essere stato il contatto diretto con gli ammalati a contagiarlo, ma qualche cosa che non ha funzionato nel backstage fra colleghi, all'atto di svestirsi e immettere i dati sul computer. Nell'intervista appare sereno e in discrete condizioni, dice di sentirsi ancora benino, tutto sommato, ma dentro, confessa, ha la consapevolezza derivante dall'averne visti tanti peggiorare improvvisamente. Accadrà anche a lui. Due giorni dopo: «Terzo trasloco. Si andrà alla palazzina Alpi», reparto nel quale - una volta entrati - non è per niente certi di poterne uscire vivi. Il giorno dopo l'annuncio, drammatico, che segna il passaggio alla terapia intensiva: «Non riesco a postare più nulla nelle mie condizioni. Sono impegnato a lottare con tutte le mie forze contro questo maledetto virus».

Cala il gelo sulla sua bacheca, trapelano solo gli inviti della moglie Carmela, preside molto conosciuta in città, che invita a pregare per lui. Non perde mai la fiducia, ma invita alla prudenza di fronte a notizie positive che purtroppo sono destituite di fondamento, in relazione all'avvio, anche al Moscati, delle terapie sperimentali col plasma di persone immuni. Notizie che si accavallano per un lunghissimo mese e mezzo. Una città intera si stringe intorno a lui, i primi sono i malati che lui ha aiutato a guarire, che si sentono ora in colpa ed esprimono la loro speciale trepidazione. La figlia Ada interviene per chiedere riservatezza, ma l'assenza di comunicazioni pesa come un macigno, giorno dopo giorno.

A fine maggio la notizia tanto attesa. Il dottore Sanseverino è guarito dal Covid. Ma il grido di gioia rimane strozzato in gola. Perché il silenzio perdurante della famiglia, che aveva promesso notizie appena possibile, sono il segno del lungo calvario che prosegue nello "svezzamento" dalla respirazione assistita, una fase in cui i rischi, anche se l'infezione è cessata, sono ancora concreti, tanti che i sanitari sono ancora costretti a riservarsi la prognosi.

Proprio in quei giorni la città di Avellino, mentre ancora Ada e Giovanni non sono ancora certi di poter tornare a riabbraciare il loro papà, i loro coetanei portano la città alla ribalita nazionale per fatti meno commendevoli. La movida a tarda sera, nell'isola pedonale di via De Conciliis, incurante delle regole sul distanziamento, si mette a saltare con cori contro i rivali di Salerno e il sindaco Gianluca Festa interviene unendosi a loro, peggiorando così le cose con l'idea di prendere di mira, in quel modo, anche le ordinanze restrittive del salernitano governatore campano Vincenzo De Luca.
Finché il silenzio per Nuccio è rotto, finalmente, ancora su Facebook, da un post del 12 giugno, venerdì, ore 12,27: «Buonasera, chi scrive è mia figlia Ada. Sto iniziando il ciclo di fisioterapia in clinica. Non sono ancora in grado di utilizzare la piccola tastiera degli smatphone, appena possibile tornerò su Fb. Saluti a tutti».

La moglie Carmela dicono ami poco queste tecniche di comunicazione moderna. Ma messaggio più bello di questo non avrebbe desiderato poter leggere. I circa 2.500 fra commenti, like e manifestazioni di affetto varie, sono il segno di una storia che ha varcato ormai i confini della provincia. Nuccio, il piccolo grande eroe in camice bianco, è tornato fra noi.

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