martedì 9 novembre 2021
Le stragi, il nazionalismo risorgente, gli aiuti dall'Italia... Parlano i testimoni: il rifugiato bosniaco, il volontario che portava soccorsi alla popolazione, la responsabile di un campo profughi
Vent'anni fa terminava il conflitto nell'ex Jugoslavia. I ricordi di chi c'era

Nel novembre di 20 anni fa, nel 2001, con la fine della guerra in Macedonia, terminavano i conflitti decennali che investirono i Balcani dal 1991. Tutto iniziò con la secessione della Slovenia, poi il conflitto scoppiò per l'indipendenza della Croazia (1991-1995), continuò in Bosnia (1992-1995), in Kosovo (1998-1999). Poi ci fu l'insurrezione nella Valle del Presevo (1999-2001) e infine l'insurrezione in Macedonia.

Nella sola Bosnia Erzegovina si contarono 101mila morti. I territori dell’ex Jugoslavia furono il teatro di grandi massacri; il più efferato fu l’eccidio di Srebrenica, dove in meno di 3 settimane, nel luglio 1995, l'esercito e le milizie serbo-bosniache uccisero 8mila bosniaci musulmani, per la maggior parte ragazzi e uomini.

Alcune stime indicano il numero di morti nelle guerre jugoslave a 140 mila. La Bosnia ed Erzegovina ha subito il fardello più pesante dei combattimenti: tra 97.207 e 102.622 persone sono state uccise nella guerra, tra cui 64.036 bosniaci, 24.905 serbi e 7.788 croati. Il bilancio delle vittime più alto è stato a Sarajevo, con circa 14 mila morti durante l'assedio.

La giustizia sta facendo il suo corso, ma solo in parte: la Corte penale internazionale dell'Aja, creata proprio per i crimini commessi in questi conflitti, non ha ancora finito il suo lavoro e i tribunali nazionali stentano a trovare la verità.

E anche il nazionalismo non è finito, come racconta in questo video Salih Selimovic, nel 1992 giovane profugo dalla Bosnia e dal 1995 residente in Italia: “In Bosnia Erzegovina vengono raccontate diverse versioni di ciò che è stata la guerra nel nostro Paese. Nei libri di testo scolastici della Serbia si racconta una verità, in quelli della Bosnia un’altra”.

Un altro motivo per cui l’odio si perpetua è che numerosi colpevoli di crimini di guerra sono in libertà: “Ci sono persone che per strada incontrano l’assassino del proprio figlio”, racconta Silvia Maraone, allora giovanissima volontaria, e oggi coordinatrice del campo profughi di Lipa in Bosnia.

Nel video le testimonianza anche di Roberto Rambaldi - già vicedirettore di Caritas italiana, per lungo tempo presente sui Balcani per coordinare gli aiuti da Milano – e di Soana Tortara che durante la guerra nell'ex Jugoslavia era presidente dell’ong Ipsia-Acli (1995-2004), attiva nel fornire assistenza.

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