venerdì 5 maggio 2017
L'intesa di Astana liquida ogni richiesta dell'opposizione al regime, mentre la Turchia saboterà le aspirazioni dei curdi. La riconquista di Raqqa al Daesh sarà pure la fine della Siria
Un soldato delle Forze Democratiche Siriane osserva la città di Tabqa (Syrian Democratic Forces, via AP)

Un soldato delle Forze Democratiche Siriane osserva la città di Tabqa (Syrian Democratic Forces, via AP)

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Passi, seppure non facili e con tante incognite, verso la pace in Medio Oriente. L'accordo per la creazione di quattro "zone di riduzione della tensione" in Siria, firmato ieri ad Astana dai tre garanti del cessate il fuoco Russia, Turchia e Iran, entrerà in vigore a mezzanotte di oggi 5 maggio. Lo ha annunciato il ministero della Difesa russo.

Intanto, le forze di Mosca dispiegate in Siria hanno cessato tutte le attività di combattimento in queste aree già dal primo maggio, secondo quanto detto dal capo delle operazioni dello Stato maggiore russo, Sergey Rudskoi.

Dopo il ritiro dalle "zone cuscinetto", le truppe siriane e russe si concentreranno "sull'offensiva a est di Palmira, sullo sblocco della città di Deir Ez-Zor circondata da tre anni dai ribelli, sulla liberazione dei territori nordorientali della provincia di Aleppo", ha affermato il generale.

Mosca vigilerà sul rispetto dell'intesa e non esiterà a rispondere in caso di violazioni: secondo il capo aggiunto delle operazioni dello stato maggiore russo, Sergey Gadzhimagomedov, in caso di violazioni saranno condotte "indagini esaustive per decidere quali misure intraprendere contro i responsabili, che non escluderanno l'uso delle armi".

Sebbene le frontiere esatte delle quattro zone siano ancora poco concrete, i Paesi garanti hanno concordato di crearne nella provincia di Idlib, a nord di Homs, nel Goutha Orientale e nel sud del Paese. L'area più grande, secondo Rudskoi, sarà "in tutta la provincia di Idlib e parte delle province di frontiera: il nordest di Latakia, l'ovest di Aleppo e il nord di Hama, con una popolazione di oltre un milione di persone".


L'intesa e il rischio della spartizione

(di Luca Geronico) Ora manca solo una dichiarazione ufficiale di Donald Trump, ma l'accordo sulle zone cuscinetto in Siria, rimbalzato dal vertice di mercoledì a Sochi tra Putin ed Erdogan, a quello di Astana, è ormai cosa fatta. Così la capitale kazakha, scelta da Putin nei giorni del cambio della guardia alla Casa Bianca, per fare da fulcro all'inedito asse turco-russo con l'Iran a fare da terzo garante, dopo quasi cinque mesi ha partorito, citando il responsabile degli Esteri russo Sergeij Lavrov, «un passo importante verso il rafforzamento della tregua».

Una uscita dall'inconcepibile stallo diplomatico, dopo sei anni di guerra civile e di fallimenti delle mediazioni ufficiale delle Nazioni Unite a Ginevra, benedetta pure dall'inviato speciale Onu per la Siria Staffan de Mistura come un «promettente passo nella giusta direzione». Una giravolta, che sembra archiviare imbarazzi e accuse, dopo il bombardamento di Trump in reazione al raid chimico a Khan Sheikhun, e aprire un nuovo capitolo. I Paesi garanti della tregua in Siria - Russia Turchia e Iran - delineeranno le mappe delle «safety zone» entro il 4 giugno: probabilmente il tempo necessario per trovare l'accordo con Washington che ieri ha accolto con prudenza l'idea, puntando però il dito contro l'Iran.

Secondo fonti presenti ad Astana le zone franche, e delimitate da check-point delle forze governative e dei ribelli, e forse pattugliate pure da truppe internazionali saranno a Iblib e provincia, a Homs, nella Siria meridionale e nella roccaforte ribelle del Goutha, vicino ad Aleppo . L'aviazione siriana fermerà le operazioni nelle zone cuscinetto e anche l'aviazione russa non effettuerà missioni nelle zone «a patto che si rispetti il cessate-il-fuoco». Questo, dopo alcune ore di braccio di ferro, l'accordo raggiunto anche con Ankara, ma subito respinto dei ribelli.

L'obiettivo di fermare le violenze e consentire la distribuzione degli aiuti umanitari, in modo da permettere il ritorno dei numerosi profughi, è però un cavallo di Troia politico: la scelta delle aree e la ricollocazione dei rifugiati, non potrà che aderire a una spartizione in base ad appartenenze etnico-confessionali. Insomma, nessuna "nuova Siria ai siriani", in nome di riforme che tengano conto delle richieste dell'opposizione al regime, ma una suddivisione in aree di influenza.

Se il blocco del regime dovrebbe accettare senza problemi la protezione iraniana e russa per autoconservarsi, la Turchia cercherà di sabotare con la safety zone ogni aspirazione autonomista del Rojava, il Kurdistan siriano, come le aspirazioni delle Forze democratiche siriane. Tutto questo, pare essere la richiesta di Washington, a patto che il regime di Damasco rispetti veramente la linea rossa delle armi chimiche.

Una spartizione, giustificata con l'obiettivo di concentrarsi poi su Raqqa. Una liquidazione, senza dare nessuna forma di legittimità politica, di ogni forma dell'opposizione che non accetti di essere irregimentata con Erdogan me dando un calcio pure alle decine di migliaia di vittime sparite nelle carceri di Damasco in questi ultimi sei anni. Il prossimo obiettivo condiviso dalla troika di Astana - con il beneplacito di Washington - sarà la riconquista di Raqqa, roccaforte del Daesh. Ma quando sarà trovata l'intesa militare che darà pure il via libera al colpo finale a Mosul, la Siria non esisterà più.

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