martedì 5 febbraio 2013
Una nuova denuncia dell'Agenzia Habeshia: nel Paese sono attivi almeno 22 centri di detenzione per migranti dove si registrano abusi e violenze. Don Zerai: «Intervenga l'Europa».
COMMENTA E CONDIVIDI

Due anni dopo la rivoluzione che ha posto fine al regime di Muammar Gheddafi, la Libia continua ad essere un inferno per i profughi provenienti dal Corno d'Africa. «La situazione, in certe località, è persino peggiorata - denuncia don Mussie Zerai, direttore dell'agenzia Habeshia -. Nel 2011 abbiamo contato 2.352 morti nel Mediterraneo. E altre centinaia nel 2012. Senza contare tutti quelli che muoiono nel deserto, nelle carceri o nei centri di detenzione».Una situazione che si perpetua nel silenzio delle istituzioni europee, malgrado siano stati presentati rapporti dettagliati sulla gravissima situazione dei richiedenti asilo e rifugiati in Libia. «Chiediamo, che il Parlamento europeo prenda in seria considerazione la gravissima situazione dei centri di detenzione e delle carceri libiche - chiede don Zerai - le tante violazioni e abusi in esse commesse». Serve l'intervento dell'Europa, che chieda al nuovo governo libico il rispetto dei diritti umani, e un rafforzamento dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) per garantire ai profughi una strada sicura per presentare domanda d'asilo.

Pestaggi, violenze e rischio deportazionePer i profughi in fuga dalla dittatura eritrea e dalla guerra civile che da più di vent'anni devasta la Somalia le condizioni di vita in Libia sono drammatiche. Campi di prigionia, carceri, deportazioni, rischio di rimpatrio verso i Paesi da cui erano fuggiti sono, purtroppo, una drammatica realtà. Esattamente come avveniva sotto la dittatura di Gheddafi. «Siamo trattati peggio delle bestie, siamo chiusi per giorni e giorni senza poter vedere la luce del sole - racconta un ragazzo detenuto a Ghanfuda -. Veniamo trattati come criminali, senza avere commesso nessun reato. Aiutateci!»Sono almeno ventidue i centri di detenzione per migranti oggi attivi in Libia e altrettante le carceri dove si trovano profughi somali, eritrei ed etiopi. Ala Lamayr è un campo che (almeno in teoria) dovrebbe essere gestito dalla "Mezzaluna Rossa" e invece, secondo quanto riferito da fonti locali, pare che il campo sia gestito da uomini armati che sottopongono i 200 prigionieri (prevalentemente eritrei ed etiopi) a maltrattamenti di ogni tipo. Nei giorni scorsi un gruppo di somali, (precedentemente rinchiusi nel campo di Ghanfuda) è stato trasferito nel campo di Sebah. Uomini e donne sono stati denudati, spogliati di ogni cosa di valore che portavano con se, compreso i cellulari. La TV Libica ha parlato di loro come di persone malate, che il paese sta espellendo dal suo territorio. «Il pericolo - denuncia don Zerai - è che queste persone vengano abbandonate a sud nel deserto libico, rischiando di morire di fame e di sete».A Ghanfuda attualmente si trova un gruppo composto da una ventina di eritrei e dieci etiopi è detenuto da sette-otto mesi: non hanno mai visto un giudice né i rappresentanti di alcuna organizzazione umanitaria.  Mentre Hums è un centro di detenzione alle porte di Tripoli: decine di profughi e rifugiati eritrei, etiopi e somali, tenuti in cattività, maltrattati uomini, donne e bambini vivono nel terrore ogni giorno. Ammassati in stanze sporche, senza areazione adeguata. I profughi  vivono nella paura dei pestaggi (che avvengono quotidianamente) oppure di essere ferite o uccise da una raffica di mitra sparata per divertimento dalle guardie contro le baracche.Due volte vittime, le donne sono spesso vittime di violenze e abusi sessuali. «Qualche mese fa, una ragazza dell'Eritrea, stata violentata da un gruppo dei militari di guardia, poi è stata gettata fuori dal centro di detenzione, priva di conoscenza, sanguinante - riferisce don Zerai -. Si è salvata per miracolo, grazie all'intervento di una donna libica che l'ha trovata per strada».Deportazioni, detenzioni arbitrarie, respingimenti in mare per difendere la “Fortezza Europa”. Gli accordi tra Paesi europei con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo avevano mostrato il loro volto peggiore in Libia già ai tempi del regime di Gheddafi. «È cambiato il regime, ma non la pratica di maltrattamento, abusi, violenze, profughi utilizzati come forza lavoro gratuita - denuncia don Zerai -. Continua il mercato dei mercenari: chi paga può essere liberato dai centri di detenzione, ma in giro di poche settimane si trova nuovamente rinchiuso».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: