mercoledì 29 gennaio 2014
Il capo dell’ufficio che si occupa per conto dell’Onu del controllo dei narcotici è contrario alle misure prese in Uruguay, in Colorado e nello Stato di Washington.
Le contee Usa corrono ai ripari: «Divieto di vendita»
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«Cosa penso di ciò che sta avvenendo in Uruguay e negli Stati del Colorado e di Washington? Che la decisione di rendere libera la vendita della marijuana costituisca una rottura della solidarietà internazionale e degli accordi sottoscritti fra le 193 nazioni che fanno parte dell’Onu. E lo dirò nel prossimo incontro delle Nazioni Unite di marzo a Vienna e quando presenterò a tutti i governi il rapporto annuale dell’organismo che presiedo...». Belga, 66 anni, Raymond Yans ha trascorso le ultime tre decadi a occuparsi di narcotici sotto il profilo giuridico e diplomatico. Dal 2012 è presidente dell’International narcotics control board (Incb), organismo «indipendente», stabilito dalla Convenzione sulle droghe del 1961 e al quale è demandato il compito di vigilare sull’applicazione dei trattati sovranazionali sui narcotici: «Ne controlliamo il rispetto. E quei trattati già disciplinano un uso minimo “legale”, sotto stretto controllo medico, di alcuni narcotici. Che è però cosa ben diversa da un’apertura alla vendita generalizzata su cui qualcuno insiste...».Dunque, lei è contrario alla cosiddetta «legalizzazione»...L’Incb non dà valutazioni scientifiche. Ma non posso non ricordare come l’Organizzazione mondiale della Sanità non abbia emesso alcun parere per dire che la cannabis non è dannosa. E ho qui con me una recente dichiarazione dell’American society of addiction medicine, emessa dopo le dichiarazioni del presidente Obama. E sa cosa scrivono?No, presidente Yans. Cosa?Che la marijuana è una droga che intossica, inficia la memoria, crea danni motori e respiratori, soprattutto ai più giovani. Inoltre crea dipendenza. Usarla è una roulette russa: pochi ne escono illesi, tutti gli altri no. Pertanto, politiche pubbliche che sostengano la prevenzione e le terapie per le dipendenze dovrebbero essere la corretta base d’azione per una malattia cronica che, solo negli Usa, riguarda 23 milioni di americani. E ciò implica che le suddette sostanze non debbano essere rese più facilmente disponibili o “propagandate” come meno dannose di ciò che effettivamente sono. Ciò non vuol dire che l’assuntore debba essere messo in cella: deve essere aiutato e curato, non è un criminale.È stato in Uruguay dopo la decisione del Parlamento?Gli Usa cercano di rispondere alle nostre sollecitazioni, provando a trovare scuse ammissibili, ma che per noi non sono tali. L’Uruguay invece non dialoga. Non ha neppure consentito a noi dell’Incb di visitare ufficialmente il Paese. Noi li abbiamo invitati a Vienna e non sono venuti. Volevamo fare una missione a Montevideo: all’inizio era stata accettata, ma poi è stata cancellata per ragioni politiche. Mi hanno detto: se lei interviene in Parlamento, potrebbe influenzare i deputati nelle loro scelte.Lei lo avrebbe fatto?No di certo, ma avrei ricordato loro quali sono le convenzioni in materia. Come si fa a ignorarle, senza tener conto delle ripercussioni a livello mondiale? Mettiamo che uno Stato legalizzi la cannabis, cosa si potrà dire ad altri come Libano, Turchia, Libia, Nigeria o altri Paesi africani, dove coltivarla è illegale? Le regole internazionali si cambiano insieme, non con fughe in avanti. Se uno o più Paesi vogliono farlo, ne discutano nell’Assemblea generale del 2016. Ma dubito che sia una posizione condivisa.C’è chi, anche in Italia, sostiene: la legalizzazione delle droghe toglierebbe profitti a mafie e narco-cartelli. Cosa ne pensa?Davvero qualcuno crede questo? Le mafie venderebbero lo stesso, magari ai minori o ai soggetti deboli ai quali la legge lo vieta. O venderebbero a prezzi più bassi, come accade col traffico delle sigarette. Le mafie non si fermano così.
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